1. Il progetto

I militari al fronte, la prigionia, la propaganda e le mobilitazioni, la vita quotidiana, l’occupazione tedesca e la Resistenza. Adottando la prospettiva di Parma e della sua provincia, il progetto Parma in tempo di guerra 1940-1945 racconta – attraverso una serie di portali web – i molteplici aspetti della Seconda guerra mondiale, facendo ampio uso di mappe, documenti, immagini e schede di approfondimento.

Il progetto [1] – disponibile al link https://parmaintempodiguerra.it/ – avrà una durata triennale, prevedendo la realizzazione di quattro portali tematici e la rielaborazione della storiografia già prodotta in materia, integrandola con nuove ricerche. I contenuti sono proposti in maniera interattiva, rispettando le esigenze di un pubblico generico e, al tempo stesso, proponendosi come importante strumento didattico.

Il 3 luglio 2020 è stato presentato il primo atto questo progetto: Prigionieri nei campi alleati, disponibile al link: https://prigionieri.parmaintempodiguerra.it/.

Fig. 1. Articolo della “Gazzetta di Parma” del 4 luglio 2020
Fig. 1. Articolo della “Gazzetta di Parma” del 4 luglio 2020

 

2. Il portale Prigionieri nei campi alleati: una panoramica

Nel corso della Seconda guerra mondiale furono fatti prigionieri 1.200.000 militari italiani, 600.000 dei quali finirono in mano alleata [2] [Conti 1986, 7]. Nel dopoguerra la questione di questi prigionieri ha subìto una rimozione nella memoria pubblica e perfino la storiografia vi ha dedicato poca attenzione, rendendola di fatto uno dei temi meno noti della storia di quel conflitto. Negli ultimi anni il trend è però cambiato, con la pubblicazione di importanti studi in materia che hanno gettato luce sulle articolate vicende vissute da così tanti italiani. Essere prigionieri degli Alleati, in generale, significava godere di migliori condizioni rispetto a quelle degli Internati militari italiani (Imi) detenuti dai tedeschi anche se, nella maggior parte dei casi, la detenzione fu più lunga: in media di tre-quattro anni fino ad arrivare a sei anni di prigionia.

Fig. 2. Esempio di scheda del reduce della prigionia iscritto all’Arnp
Fig. 2. Esempio di scheda del reduce della prigionia iscritto all’Arnp

Se i grandi numeri e le macro-ricerche restituiscono un’immagine generale del fenomeno, sono spesso gli studi locali a permettere uno sguardo ravvicinato, capace di cogliere sfumature e significati altrimenti non evidenti. In questa direzione si pone il portale web Parma in tempo di guerra: Prigionieri nei campi alleati.

Grazie allo spoglio dell’archivio della federazione parmense dell’Associazione nazionale reduci della prigionia (Anrp) – conservato presso l’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma – si è potuto ricostruire la storia di 1.181 militari del parmense catturati dagli Alleati. L’archivio, infatti, conserva i fascicoli personali dei reduci, contenenti le informazioni anagrafiche e quelle relative alla prigionia.

I dati di questi 1.181 prigionieri sono stati caricati su una banca dati all’interno del portale. È stato inoltre possibile individuare 226 luoghi di prigionia, sparsi per tutti i cinque continenti, consultabili attraverso una mappa interattiva. La maggior parte dei soldati del Parmense – circa un migliaio – fu catturata in Africa, la restante parte quasi tutta in Italia. Il 75% fu detenuta dagli inglesi e internata per tre quarti nei vari dominions britannici, uno su quattro fu invece inviato in Gran Bretagna con l’obbiettivo di essere utilizzato come forza lavoro [Insolvibile 2012]. Il 13% del totale dei prigionieri del Parmense fu detenuto dai francesi e, con alcune eccezioni, internato nelle colonie nordafricane, mentre il 12% finì in mano statunitense e inviato per il 90% negli Stati Uniti.

Uno squarcio sull’esperienza di prigionia ci viene offerto dalle lettere, tante, conservate nell’archivio Anrp di Parma. Ogni ex prigioniero, infatti, al momento dell’iscrizione all’associazione doveva consegnare un documento che comprovasse la propria prigionia: nella maggior parte dei casi si trattava di lettere o cartoline inviate o ricevute al campo, conservate oggi nei fascicoli di ogni reduce. L’archivio – che contiene le schede di circa 3.000 reduci della prigionia (contando anche gli Imi e i soldati catturati in Russia) – ha quindi un patrimonio di più di un migliaio di lettere e cartoline, a cui si aggiunge altra documentazione di vario interesse (documenti di prigionia, certificati di vaccinazione, attestati ottenuti da parte alleata, ecc.). Una cinquantina di queste lettere sono state trascritte, caricate nel portale e ordinate per soggetto. Sono lettere che ci parlano dell’alimentazione, della vita nel campo di prigionia, del lavoro, della cooperazione con gli Alleati, dell’attesa del ritorno, di progetti, paure e speranze. Da queste si evincono anche le articolate e a volte opposte condizioni che questi prigionieri si trovavano a vivere in base a chi li detenesse, al campo di internamento e all’aver scelto se cooperare o meno con gli Alleati [3].

A questo proposito, prendiamo ad esempio due lettere: la prima scritta il 2 agosto 1943 da Giovanni Chiari [4]– detenuto dagli statunitensi – e inviata alla propria famiglia dal campo di Como, Mississippi, dalla quale emerge una condizione molto positiva:

Fig. 3. Lettera inviata alla famiglia da Giovanni Chiari dal campo di Como (Mississippi, Stati Uniti) in data 2 agosto 1943
Fig. 3. Lettera inviata alla famiglia da Giovanni Chiari dal campo di Como (Mississippi, Stati Uniti) in data 2 agosto 1943

Carissimi […] Vi dico che mi trovo in America in un paese che si chiama Como che si trova nel Mississippi. Il viaggio lo [sic] fatto abbastanza bene ed ora sono contento perché mi trovo assai bene per il trattamento come per il vitto, in più abbiamo tutte le comodità. Ieri l’altro abbiamo riscosso la paga del mese e in più gli arretrati di circa 3 mesi e così ora sono proprietario di nove dollari, ma dato che abbiamo anche uno spaccio dove vendono grossi e buoni gelati e cioccolate con rispettive bibite e tanti oggetti sono certo che mi dureranno poco, ma vuol dire che andrò a lavorare e così mi potrò permettere certe buone voglie. Abbiamo una bella cameretta con il lettino a branda e un bellissimo corredo di biancheria e di pulizia.

Questo genere di lettere rappresentava anche un importante veicolo di propaganda statunitense: il racconto delle condizioni di prigionia del soldato, possiamo immaginare, letto da amici e familiari italiani oppressi dalle ristrettezze della guerra, doveva suscitare un misto tra invidia e gratitudine.

Di tenore completamente diverso è invece la seconda lettera, scritta da Italo Frambati [5] il 1° luglio 1947 dal campo inglese di Zonderwater, Sudafrica:

Fig. 4. Lettera inviata alla famiglia da Italo Frambati dal campo di Zonderwater (Sudafrica) in data 1° luglio 1946
Fig. 4. Lettera inviata alla famiglia da Italo Frambati dal campo di Zonderwater (Sudafrica) in data 1° luglio 1946

Per quanto sia rassegnato a questa dura vita, vi sono diversi momenti in cui questa mia rassegnazione è superata dallo sconforto della disperazione. Non potrebbe essere altrimenti dato la lunga monotonia del reticolato, e per di più, ad aggravare questa nostra terribile situazione è sopravvenuto quel terrificante spettro della fame quale pensa a diminuire quelle poche energie rimasteci dopo anni di prigionia. Giorno per giorno ci vengono razionati e diminuiti quei pochi alimenti quali sarebbe appena sufficienti per mantenerci in piedi.

A differenza della prima lettera, questa – scritta in un momento e in un contesto diverso – racconta una prigionia fatta di stenti e rassegnazione.

La sezione Prigionia del portale, infine, è riservata alle schede di approfondimento, dove si è cercato di tenere assieme la dimensione generale del tema intrecciandolo ai risultati e le riflessioni dei dati del Parmense. Queste schede sono, per la maggior parte, ricavate dalla tesi di laurea magistrale di Mattia Tondelli, giovane ricercatore scomparso tragicamente nel 2011, che per primo ha avviato questa ricerca e alla cui memoria è dedicato il portale [6].

Fig. 5. Mattia Tondelli
Fig. 5. Mattia Tondelli

3. Conclusioni

Il portale Prigionieri nei campi alleati è in costante aggiornamento, attraverso l’implementazione di contenuti e schede di approfondimento. Inoltre, la sua pubblicazione ha portato all’interessamento di alcuni parenti di prigionieri, dai quali riceviamo nuove informazioni e documenti. Attraverso contributi privati e nuove ricerche si intende, quindi, integrare la banca dati con nuovi nominativi, estendendola anche ai prigionieri catturati e detenuti dall’Unione Sovietica.

Uno degli sviluppi fondamentali sarà la realizzazione di percorsi didattici rivolti alle scuole del territorio, i cui risultati saranno caricati in una sezione apposita del portale.

Nei prossimi mesi si prevede la pubblicazione dei successivi capitoli di Parma in tempo di guerra 1940-1945: al momento è in lavorazione Militari al fronte 1940-1943, un portale che racconterà – sempre attraverso l’uso di mappe, documenti, immagini e schede di approfondimento – l’esperienza al fronte dei soldati del Parmense dall’ingresso in guerra fino all’armistizio.

L’obbiettivo ambizioso è di giungere, in occasione dell’ottantesimo dell’8 settembre 1943, al quarto portale dedicato alla Resistenza.


Bibliografia

  • Bersani F. 1997
    I dimenticati: i prigionieri italiani in India: 1941-1946, Milano: Mursia
  • Bistarelli A. 2007
    La storia del ritorno: i reduci italiani del secondo dopoguerra, Torino: Bollati Boringhieri
  • Carlesso L. 2009
    Centomila prigionieri italiani in Sud Africa: il campo di Zonderwater, Ravenna: Longo
  • Conti F.G. 1986
    I prigionieri di guerra italiani 1940-45, Bologna: il Mulino
  • De Prospo M. 2010
    I prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti e il dilemma della cooperazione (1944-1946), “Diacronie: Studi di Storia Contemporanea”, 1
  • Dubois C. 1989
    Internés et prisonniers de guerre italiens dans le camps de l’empire français de 1940 a 1945, “Guerres mondiales et conflits contemporains: revue d'histoire”, ottobre
  • Hall J. 1999
    Private Memories, Public Perceptions: Italian prisoners of war in Northern New South Wales, “Limina”, 5
  • Insolvibile I. 2012
    Wops. I prigionieri in Gran Bretagna (1941-1946), Napoli: Edizioni scientifiche italiane
  • Moore B. e Fedorowich K. 2002
    The British Empire and its Italian prisoners of war, 1940-1947, New York: Palgrave
  • Rochat G. 1987
    Prigionia di guerra e internamento nell’esperienza dei soldati italiani, in Spostamenti di popolazione e deportazioni in Europa: 1939-1945, Bologna: Cappelli editore

Risorse


Note

1. Il progetto, a cura di Marco Minardi e Domenico Vitale, ha avuto il sostegno della Regione Emilia-Romagna, della Provincia di Parma, del Comune di Parma e della Fondazione Cariparma.

2. I restanti 600.000 furono catturati dai tedeschi e considerati Internati militari italiani, categoria che permetteva alla Germania nazista di escludere i prigionieri militari italiani dalla tutela derivante dalle norme della Convenzione di Ginevra.

3. In generale il trattamento migliore fu quello statunitense, mentre il peggiore fu quello francese. Le condizioni di prigionia nei campi inglesi furono molto variegate anche in conseguenza della possibilità di essere internato in luoghi molto diversi.

4. Giovanni Chiari, nasce a San Lazzaro Parmense (Parma) il 6 febbraio 1920. Partecipa alla guerra col grado di caporale nel 33° reggimento carristi, venendo catturato a Tunisi l’11 maggio 1943. Terminerà la propria prigionia nelle Hawaii, tornando in patria il 7 marzo 1946.

5. Italo Frambati nasce a Parma il 9 settembre 1916. Partecipa alla guerra col grado di sergente nel 4° reggimento artiglieria, venendo catturato a Tobruk (Libia) il 4 dicembre 1941. Tornerà in patria il 21 giugno 1947, dopo quasi sei anni di prigionia.

6. Titolo della tesi I prigionieri italiani della Seconda guerra mondiale. Il caso dell’associazione Anrp di Parma, relatore Paolo Capuzzo, correlatrice Mariuccia Salvati. Gli amici e i famigliari di Mattia hanno costituito una associazione in sua memoria con lo scopo di finanziare nuove ricerche che proseguano il lavoro avviato con la tesi.