L’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma (Isrec), in collaborazione col Comune e l’Università di Parma, ha deciso di organizzare in occasione dei cinquant’anni dell’anniversario del Sessantotto un corso di formazione per insegnanti, ma aperto alla cittadinanza, dal titolo Winds of Change: ribellioni giovanili in Gran Bretagna e Stati Uniti nei long sixties. La scelta storiografica che è alla base dell’ideazione della rassegna è stata mettere in luce come il cambiamento socio-culturale degli anni Sessanta nei paesi di matrice anglo-sassone abbia costituito una vera e propria “rivoluzione”, anticipatrice e forse addirittura più incisiva e duratura dei sommovimenti strettamente politici legati al Sessantotto dell’Europa continentale.

L’incontro inaugurale è stato tenuto da Bruno Cartosio (Università di Bergamo), autore del fondamentale I lunghi anni Sessanta. Movimenti sociali e cultura politica negli Stati Uniti, che ha dialogato con Alessia Masini (Fondazione Feltrinelli), studiosa del fenomeno punk in Italia e Inghilterra. Nella conferenza su Cultura e controcultura negli Stati Uniti degli anni Sessanta i relatori hanno intrecciato storia politica e storia culturale per analizzare come durante i sixties la società statunitense sia stata profondamente e indelebilmente modificata.

Il secondo incontro ha avuto come oggetto di studio la “settima arte”, attraverso due relazioni: la prima di Michele Guerra (Università di Parma), Il cinema inglese, una contraddizione in termini?, dedicata al movimento del Free cinema – visto anche attraverso una prospettiva di genere - e al tentativo di distruzione del linguaggio cinematografico tradizionale; la seconda di Carlo Ugolotti (Isrec Parma), Cool Britannia. Cinema e immaginario nell’Inghilterra degli anni Sessanta. James Bond e i film dei Beatles, volta ad approfondire come anche nel cinema popolare (e in particolare in due icone pop come James Bond e i Beatles) si possa cogliere quella scintilla di rivoluzione dei costumi che ha decostruito e deriso il concetto di autorità e tradizione, cardine della società britannica.

La terza conferenza, My regeneration. Sguardi e generi nella rivoluzione pop degli anni Sessanta, tenuta da Fabio Cleto (Università di Bergamo) insieme a Diego Saglia (Università di Parma), ha proseguito l’analisi della cultura pop della swinging London spaziando dalla moda di Mary Quant ai concerti degli Who. A terminare la rassegna è stato proprio Saglia che, dialogando con il saggista e romanziere Tobias Jones, ha preso in esame La narrativa e il teatro dei giovani nell’Inghilterra del cambiamento: partendo dal teatro degli angry young men per arrivare alla decostruzione del linguaggio di Anthony Burgess in A Clockwork Orange, si è visto come anche nell’ambiente letterario la ribellione anti-autoritaria, tipica dei sixties, sia stato un fattore di cambiamento imprescindibile per comprendere i mutamenti della cultura anglo-sassone dell’epoca.

Questa serie di incontri si è quindi posta l’obiettivo di modificare l’asse geografico e temporale secondo cui nel discorso pubblico si tende a inquadrare il Sessantotto: se infatti spesso (anche per un discorso di costruzione della memoria, attraverso vari mass media) si fa coincidere la contestazione con il “maggio francese” o con le occupazioni universitarie italiane, la ribellione contro la società tradizionalista, consumista e autoritaria si può già retrodatare nelle ribellioni esistenziali dei giovani inglesi insoddisfatti dalla società del welfare state e in divi “ribelli” quali Marlon Brando, James Dean o i Beatles. Ed è proprio attraverso l’immedesimazione, il confronto e la mimesi con queste icone pop che i giovani di tutto il globo diventano un soggetto sociale distinto e separato nella società di massa. Come hanno affermato Iain Chambers e Paul Gilroy, nelle società capitaliste occidentali le masse sono diventate soggetti storici non tanto attraverso gli organi rappresentativi della società parlamentare, quanto attraverso le varie modalità della cultura popolare urbana [Chambers e Gilroy 1995]. La scelta di un modello di riferimento piuttosto che un altro (quando non addirittura l’esplicito rifiuto) ha costituito per i giovani un preciso atto politico di rottura, seppur indiretto. Quale riprova migliore della testimonianza di uno studente che intervistato da “The Paper” nel 1965 sulla ragione per cui ascolti i Beatles risponde: «mia madre li odia, mio padre li odia, il mio professore li odia. Puoi pensare a tre ragioni migliori perché io li ami?» [De Bernardi e Flores 1998, 39]. Si trovano qui i segnali di quella ribellione “antropologica” e generazionale che passa attraverso la moda e i gusti musicali, come ha sottolineato Renato Giovagnoli [1985], e costituisce la prima fase della contestazione prendendo in seguito una dimensione propriamente politica in Italia a partire dal 1967. Si tratta quindi di analizzare il Sessantotto non tanto come début ma come di un punto di arrivo.

Da una prospettiva metodologica l’approccio interdisciplinare e la commistione di fonti provenienti da forme di produzione culturale “alta” e “bassa” permette quindi di verificare da una prospettiva “altra” le caratteristiche che De Bernardi e Flores [1998] hanno usato per definire un Sessantotto globale che si viene poi a declinare nelle sue varie peculiarità locali:

  1. la dimensione giovanile mondiale, che allineata da accesso al mercato e ai consumi, crea una sua precisa identità e autonomia generazionale;
  2. la comunità di obiettivi, nonostante diversi contesti di provenienza culturale, che individua nel concetto astratto di autorità il suo bersaglio polemico, attaccato attraverso gli strumenti della critica e della militanza in tutte le sue dimensioni (dall’università alla medicina, dai codici letterari al mondo dello sport, ecc.);
  3. e infine il fatto di operare nella società del benessere di società modernizzate (seppur a diverso grado) che permangono sotto l’ombra della minaccia atomica (si veda la saga di James Bond o le critiche antimilitariste di vari film dell’epoca).

Inoltre, tenendo conto anche dell’esperienza maturata nel corso di laboratori didattici con gli studenti, va sottolineato che - nonostante la loro quasi totale estraneità ai vari contesti politici dell’epoca, dovuta anche a carenze dei programmi ministeriali che ignorano il periodo preso in esame - le giovani generazioni hanno molta familiarità con le icone culturali ereditate da quel periodo (da quelle musicali a quelle cinematografiche). Un approccio socio-culturale potrebbe quindi essere usato in laboratori e lezioni come “cavallo di Troia” per avvicinare i giovani a periodi storici ormai lontani.


Bibliografia

  • Cartosio B. 2012
    I lunghi anni Sessanta. Movimenti sociali e cultura politica negli stati Uniti, Milano: Feltrinelli
  • Chambers I. e Gilroy P. 1995
    Hendrix, hip-hop e l’interruzione del pensiero, Genova: Casta & Nolan
  • De Bernardi A. e Flores M. 1998
    Il Sessantotto, Bologna: il Mulino
  • Giovagnoli R. 1985
    Cultura e socialità «giovanili» dopo il Sessantotto, in Italia moderna: immagini e storia di un’identità nazionale, vol.IV, La difficile democrazia, Milano: Electa.