Tutta l’arte vive all’interno delle relazioni sociali, non solo quella che lo dichiara a mo’ di manifesto; tutta l’arte vive in relazione con il processo di elaborazione della memoria, non solo quella che piange e ricorda i propri cari.
Emanuela De Cecco, Non volendo aggiungere altre cose al mondo, 2016

1. Quale verità?

Piazzale Leonardo Da Vinci, a Imola, ospita da 76 anni una statua di bronzo ritraente un uomo, un combattente armato, che regge un fucile con la mano destra mentre la sinistra è alzata stretta in un pugno; è appoggiato ad una roccia con sopra raffigurati alcuni alberi, un animale e la firma dello scultore. Il Monumento al partigiano è stato realizzato dall’artista Angelo Biancini, venne inaugurato nel 1946 ed è ancora oggi uno dei luoghi presso cui si svolgono le celebrazioni per l’anniversario della Liberazione e in memoria dei caduti della Resistenza, organizzate dal Comune di Imola e dalla sezione locale dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi). Circa sessant’anni dopo l’inaugurazione, l’opera è stata oggetto di polemiche che hanno messo in dubbio la sua origine e la sua “legittimità” politica.

Fig. 1. Il “Monumento al partigiano” di Imola [foto Elena Pirazzoli, 2022].
Fig. 1. Il “Monumento al partigiano” di Imola [foto Elena Pirazzoli, 2022].

Nel settembre 2017, mentre in Italia si discuteva e approvava la legge Fiano, una serie di testate e blog [Amorosi 2017; Cartaldo 2017; Gli omaggi partigiani 2017] ricondivisero il contenuto di un articolo apparso su «La Verità», in cui veniva raccontata la “vera” storia dietro al Monumento al partigiano. Secondo questo articolo, che a sua volta si basava su una ricostruzione effettuata dall’ex consigliere comunale di centrodestra Riccardo Mondini [1], la statua non era stata creata davvero nel 1946 per commemorare la lotta partigiana: a detta del consigliere, lo scultore l’aveva realizzata nel 1936 per celebrare la campagna d’Etiopia. Secondo questa ricostruzione i documenti dell’opera erano conservati nella Casa del fascio di Imola, edificio progettato tra il 1930 e il 1935 dall’architetto Adriano Marabini [Gresleri, Massaretti 2001, 394-395] e sarebbero andati distrutti in seguito a un rogo appiccato dai partigiani. Il mitra sarebbe stato aggiunto successivamente per sostituire, sempre secondo la ricostruzione, un gladio. Altro elemento a supporto di questa ipotesi sarebbe il bassorilievo presente sul retro della statua, che sembrerebbe rappresentare un’antilope. Secondo uno dei siti che nel 2017 citò l’articolo de «La Verità»,

Il guerriero non era del tutto piaciuto ai gerarchi (lo consideravano poco riuscito, perché meno slanciato delle classiche figure futuriste) e per questo lo avevano depositato nella cantina della Casa del fascio a Imola. Poi con la Liberazione venne riesumato [Amorosi 2017].

Tuttavia, tali affermazioni non appaiono supportate da documentazione: la ricerca negli archivi locali non ha portato evidenza né del presunto incendio, né della commissione del monumento da parte del Fascio di Imola, né dello spostamento dell’opera [2]. Inoltre, sostenere che la statua sia stata scartata perché non conforme all’estetica futurista è azzardato, dal momento che «il futurismo figurativo non assu[nse] mai il ruolo di estetica ufficiale», e venne in parte emarginato [Zagarrio 1976, 242, 244]. L’estetica fascista non espresse mai una linea prevalente, avallando forme e stili differenti (dal razionalismo, al futurismo, al classicismo), unificati dalla celebrazione del regime.

Negli articoli si faceva esplicito riferimento alla legge Fiano «concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazi-fascista» [Mentana 2017], usando l’esempio della (presunta) problematica origine della statua per minare la validità e razionalità della proposta di legge: l’articolo apparso su «Il Giornale» iniziava infatti scrivendo:

Tu chiamale, se vuoi, sfortune. Sta di fatto che in tempi in cui la sinistra fa di tutto per abbattere i simboli del Fascismo, accade che a Imola il monumento al partigiano sotto a cui da 70 anni Anpi, nipotini dei partigiani, comunisti e post comunisti celebrano il 25 aprile, sia in realtà una statua fascista. Esatto: fascista come i busti del duce che Emanuele Fiano vorrebbe distruggere [Cartaldo 2017].

Ma obiettivo degli articoli era anche mostrare l’ipocrisia di personaggi pubblici, come lo stesso Emanuele Fiano e Laura Boldrini, che si erano esposti riguardo al problema della presenza di simboli e monumenti fascisti in Italia:

Il paradosso è veramente simpatico: ogni anno il 25 aprile c’è chi manifesta, senza saperlo, davanti alla statua di un legionario fascista, credendo che rappresenti un partigiano. Non ditelo a Fiano e Boldrini, magari sono passati da Imola recentemente con una corona di fiori. Scoprirebbero di averla posta di fronte ad una statua che vorrebbero abbattere [Gli omaggi partigiani 2017].

Quanto esposto da Mondini nel 2009 era dunque diventato rilevante politicamente, in un contesto in cui si apriva una forte polemica sulla memoria e sul ruolo pubblico dei monumenti. Obiettivo di questo articolo è, dunque, ricostruire la storia dell’opera, muovendo da quanto emerso dalle polemiche stesse e cercando di verificarne il fondamento. Sono analizzate le fonti relative alla commissione del monumento e alle sue due inaugurazioni (1946 e 1973), e la figura di Biancini; il testo si conclude, infine, con una breve riflessione sulle polemiche contemporanee e i conflitti che possono scaturire dal complesso incontro e rapporto tra arte e politica.

2. «Sono morti per me, per te, per tutti noi»

La ricerca negli archivi comunali imolesi non ha fatto emergere alcuna informazione riguardo al monumento, se non per gli articoli apparsi su alcuni periodici locali nel 1946. Nulla è emerso dai registri del Podestà per l’anno 1936.

I primi documenti relativi al monumento sono infatti quelli conservati presso il Cidra, Centro imolese di documentazione sulla resistenza antifascista e la storia contemporanea. La prima comunicazione tra lo scultore e l’Anpi imolese risale a un appunto del 2 gennaio 1946, in cui Biancini confermava di aver ricevuto la somma di 20.000 lire per il lavoro che aveva in opera. L’iniziativa fu promossa dall’Anpi di Imola in collaborazione con diverse forze politiche del comune imolese:

Per l’iniziativa dell’Anpi di Imola, ed attraverso la costituzione di un Comitato Cittadino, è stata varata l’idea di costituire un grande monumento ai caduti Partigiani che ricordi le gesta eroiche del popolo Italiano nella lotta per la libertà. […] Lo scopo nobile che si ripromette questa azione è di ricordare tutti coloro che hanno dato la vita per il progresso della civiltà [3].

Il 1° febbraio 1946 vennero creati il Comitato cittadino, con a capo il segretario dell’Anpi, e la Commissione artistica [4], con il compito di valutare il progetto, la posizione e il luogo più adatti per la collocazione della statua. Fu inoltre formata una Commissione esecutiva con l’incarico di proporre un piano di autofinanziamento dell’opera, in particolare con la collaborazione della Casa del popolo, luogo in cui avrebbero dovuto organizzare eventi di raccolta fondi (si fa esplicito riferimento alle associazioni Unione donne italiane - Udi, Centro italiano femminile - Cif, Associazione ragazze d’Italia - Ari e Fronte della gioventù - Fdg). Nella lettera inviata a tutte le sezioni Anpi e ai Comuni in cui ha operato la 36ª brigata Garibaldi Bianconcini, in cui si fa richiesta di aiuto per la realizzazione dell’opera con una sottoscrizione, si afferma:

Siamo certi che in quest’opera di umanità vorrete essere solidali con noi, e Vi preghiamo di volere aprire una sottoscrizione a favore di questo simbolo di alta umanità e collaborare onestamente in un proposito che deve tendere, unendo i nostri gloriosi caduti, e saldandoli più efficacemente nell’affetto e nel ricordo dei vivi, a rendere più unitario lo spirito e gli intenti di chi lottò e lotta per un miglior avvenire del popolo. Noi siamo a pregarVi di fare la Vostra opera di convincimento presso i più facoltosi dei Vostri paesi, pregandoli che se pure l’opera artistica non è vicinissima a Voi, sempre sarà nobile l’intento di partecipare alla celebrazione dei Vostri, e dei nostri caduti [5].

Emergeva quindi la volontà di evidenziare l’aspetto unitario della lotta resistenziale e dei suoi caduti, nell’ottica di saldare le tre anime più rilevanti della Resistenza e della scena politica italiana dell’immediato dopoguerra (ovvero quella comunista, quella democristiana e quella socialista). La notizia venne riportata dai periodici locali: sia da quello della Democrazia cristiana, «Il nuovo diario» (intervenne sul tema anche il periodico cattolico «L’Avvenire d’Italia»), che dal socialista «La lotta» e da quello comunista «Il momento», che pubblicizzarono la raccolta fondi e che ugualmente sostenevano l’iniziativa:

Monumento ai Caduti per la Libertà

Il Comitato cittadino per l’erezione del monumento ai Caduti per la libertà ha discusso e definito l’idea di posare in Imola un monumento che ricordi le gesta della Liberazione. Lo scultore sarà il Prof. Bianchini [sic] di Castelbolognese [sic] artista già noto per le sue brillanti opere. Il monumento sarà costituito da una grande statua in bronzo alta m. 3 raffigurante un atteggiamento eroico del partigiano in lotta [6].

Un articolo apparso su «Il momento» il 3 marzo 1946 riportò anche il preventivo di spesa, che risultava maggiore di 800.000 lire [7], una cifra decisamente cospicua per l’immediato dopoguerra, ma che il Comitato riuscì a diminuire considerevolmente [8].

Per quanto riguarda la Commissione artistica e i suoi commenti relativi alla statua, non ci sono documenti conservati. Poco prima dell’inaugurazione, scoppiò sui giornali una polemica tra la Commissione e il Comitato, in cui la prima accusava il secondo di averla scavalcata, di non averla coinvolta nel processo decisionale e di non aver chiesto alcuna consulenza artistica. Su «La lotta» del 12 maggio 1946 vennero riportati la lettera della Commissione artistica e un relativo commento:

Apprendiamo da varie fonti la prossima inaugurazione del monumento al Partigiano. Fummo nominati allo scopo di studiare la posizione e il luogo più adatto per la collocazione della statua. Generalmente si pongono in mostra i bozzetti al pubblico che sottoscrive per l’erezione del monumento, si studiano e si considerano le varie impressioni e si tiene calcolo dei desideri dell’intera popolazione. Noi ammettiamo che l’opera vada bene e stia anche bene dove è stata innalzata, ma è doveroso che si dichiari pubblicamente che noi non abbiamo potuto in nessun modo adempiere all’incarico ricevuto, e ciò a scanso di lodi o di biasimi che non ci riguardano.

I componenti il Comitato Artistico:

Tabanelli M.o Amedeo, Margotti Prof. Anacleto, Landi Arch. Girolamo, Cacciari Ing. Europe, Conte Dalla Volpe Prof. Taddeo, Romiti Arch. Guglielmo, Serantoni Dott. Arch. Alfonso.

La lettera di cui sopra ha dato origine ad una risposta dei Partigiani redatta in tono fortemente polemico, che è stata pubblicata giorni fa dal «Progresso». In sostanza si asserisce che la Commissione Artistica non si è mai preoccupata di svolgere il compito affidatole dal Comitato Cittadino. La questione tecnico-artistica viene appena sfiorata da un brano retorico ma è bene però che essa venga posta in essere, non per allungare la polemica, ma perché venga chiarita la consistenza artistica del monumento e l’opportunità della sua ubicazione [9].

A tale polemica il Comitato rispose sottolineando le mancanze della Commissione, che nei mesi successivi all’avvio dei lavori non si era mai riunita né, secondo l’Anpi, aveva mai partecipato attivamente al progetto, poiché secondo l’associazione era sua la responsabilità di richiedere e visionare i bozzetti e la proposta artistica:

L’A.N.P.I. si è adunato più di una volta alla settimana, prima per nominare il suo Presidente, poi per risolvere bene i problemi che via via nel corso del lavoro si presentavano. Ed in questo è brillantemente riuscita perché il preventivo di costo di L. 880.000 si è trasformato, mercé un’oculata amministrazione, in un consuntivo di circa 330.000. Il Comitato Artistico credeva forse che qualcuno avesse dovuto invitarlo, indirizzarlo e organizzarlo nei suoi lavori? Esso è responsabile di fronte alla Cittadinanza ed al Comitato Cittadino di non avere svolto nessun lavoro, perché il Monumento riuscisse più bello, più artistico e meglio disposto. Se per caso noi non fossimo riusciti ad organizzarci, e avessimo oggi l’assurda e sfacciata pretesa, mancando ad esempio i fondi per pagare, di dire che nessuno ci ha mai interpellati, che cosa ci risponderebbe? E se è stato nominato dal Comitato Cittadino allo scopo che dice, doveva fare le sue relazioni e non attendere di essere interpellato. E se il bozzetto non è stato esposto, questo dipende sempre dalla sua mancata attività, perché se anche qualcuno fosse stato di parere contrario, esso e non altri doveva smussare queste ed altre contrarietà e indurre a procedere sotto la sua direttiva. Qui sta l’errore che al Comitato e all’«Avvenire d’Italia» è sfuggito.

La Sezione dell’A.N.P.I. d’Imola [10].

Anche il quotidiano «Il momento» riportò la risposta del Comitato, che sottolineò come fosse in atto un attacco verso «il nostro A.N.P.I., che è stato il promotore del monumento» e scrisse in risposta alla Commissione artistica:

Noi invece vi rispondiamo che ci siamo non solo preoccupati di organizzare la parte di nostra competenza, ma di vedere, sia pure come spettatori passivi, come l’artista procedeva nel fare l’opera. Perché vi confessiamo che questo Partigiano di bronzo ha assunto per noi, ogni volta che il nostro pensiero si fermava su esso, un volto che era quello di tutti i nostri compagni caduti combattendo al nostro fianco. Noi vediamo ancora in esso sublimati tutti gli immensi sacrifici del popolo che ha combattuto, vediamo in esso Partigiani morti, civili spezzati dalle bombe, vediamo i prigionieri dei nazisti morti di sofferenze e di fame, vediamo città distrutte, vediamo in esso tutta la tremenda odissea del nostro popolo. Sappiamo che anche voi vedete tutto questo, ma permetteteci di dirvelo, noi abbiamo dimostrato lavorando con passione e accanimento, di vederlo con un calore superiore al vostro [11].

Venne dunque attuato un confronto tra diversi livelli di “appassionamento” sulla memoria, implicando una distanza tra i membri della Commissione e le fatiche e sofferenze della guerra e della lotta di Liberazione.

A seguito dell’inaugurazione, avvenuta il 12 maggio 1946, la polemica non emerse più dai giornali. «La lotta» scrisse, riguardo alla cerimonia:

Alle ore 16, partendo da Piazza G. Matteotti, si è formato un corteo con in testa la Banda Cittadina, seguita dalle rappresentanze partigiane e dalle associazioni politiche ed economiche con bandiere, che si è portato speditamente alla «rotonda» di Viale Dante ove sorge il monumento consistente in una raffigurazione in bronzo di un partigiano in atteggiamento guerriero, sostenuto da un semplice basamento sul quale è scritto: «Sono morti per me, per te, per tutti noi. Sono morti perché la nostra vita valga la pena di essere vissuta». Intorno al monumento si erano schierati i partigiani e le rappresentanze mentre la folla sostava nel vasto piazzale. Al suono dell’Inno di Garibaldi è stato tolto il velo che ricopriva la statua che veniva subito benedetta con breve cerimonia religiosa dal Parroco del Carmine. Seguono quindi i discorsi inaugurali pronunciati dal partigiano Carlo Nicoli, dal Sindaco A. Tabanelli, dall’Avv. Zoccoli presidente del C.R.L.N., da Antonio Meluschi per l’A.N.P.I. regionale e da Giuseppe Dozza, Sindaco di Bologna, i quali tutti hanno esaltato il notevole contributo apportato dalle formazioni partigiane alla lotta di liberazione del nostro Paese.

A parte la critica da parte del quotidiano cattolico nei confronti del discorso dello scrittore Meluschi, accusato di aver «portato alla cerimonia una inopportuna nota di partito», tutti e tre i periodici riportarono con favore l’inaugurazione. La statua fu finanziata grazie a una raccolta fondi dal basso, in cui furono coinvolti sia i membri delle sezioni Anpi sia i cittadini in generale (in questo senso i periodici furono importanti promotori della campagna).

Fig. 2. Autorità e popolo all’inaugurazione del monumento in viale Dante, Imola, 12 maggio 1946 [Cidra].
Fig. 2. Autorità e popolo all’inaugurazione del monumento in viale Dante, Imola, 12 maggio 1946 [Cidra].

Fig. 3. Progetto per l’aggiunta delle lapidi con i nomi dei partigiani caduti [Cidra].
Fig. 3. Progetto per l’aggiunta delle lapidi con i nomi dei partigiani caduti [Cidra].

Nel 1973 ci fu un secondo momento pubblico attorno al Monumento: l’Anpi imolese decise, infatti, di promuovere una nuova raccolta fondi per costruire delle lapidi con riportarti i nomi di tutti i caduti imolesi nella Lotta di Liberazione [12].

L’occasione fu il trentesimo anniversario dell’8 settembre, data simbolo per l’inizio della Resistenza [13]. Quell’anniversario capitava inoltre in un momento storico delicato: non era solo in corso una radicalizzazione delle lotte, ma anche lo scatenarsi dell’“autoritarismo delle bombe”, di quella strategia della tensione che evidenziò la profonda frattura tra società e istituzioni. Insieme al piombo della lotta armata e alle esplosioni delle bombe, presero piede anche importanti forme di mobilitazione collettiva e una grande vivacità della società civile che avrebbero caratterizzato gli anni a seguire [Tolomelli 2015, 146-147]. Le Anpi di Arezzo, Firenze, Forlì, Imola, Ravenna e Rimini, che formavano il Comitato unitario antifascista di Santa Sofia, promossero per il 2 settembre 1973 un incontro sulla Resistenza e l’antifascismo toscano-romagnoli, diffondendo un volantino che difatti riportava quanto segue:

Ma oggi non è più tempo di rievocazioni. Mai come nell’attuale momento la Resistenza ha assunto tanto valore di attualità. Nel periodo trascorso dalla Liberazione ad oggi, il rifiuto caparbio e violento dei gruppi conservatori più retrivi di accettare la nuova realtà storica ha impedito la piena attuazione della Costituzione nella fabbrica, negli uffici, nelle forze armate, nella Magistratura, nella scuola. Oggi, nel 30° della Resistenza, i partigiani e le forze popolari antifasciste chiedono ai cittadini di unirsi per esigere dal Governo della Repubblica, nata dalla Resistenza:

1) una coraggiosa politica di effettivo rinnovamento democratico, che attraverso le fondamentali riforme, da attuarsi nello spirito della Costituzione, faccia uscire il Paese dalla profonda crisi, non soltanto economica, ma morale e politica che lo travaglia.

2) l’adozione di adeguate ed energiche misure – che troppo spesso si promettono e poi non si attuano – dirette a colpire ogni forma di attività fascista, che hanno come presupposto lo scioglimento di tutte le organizzazioni fasciste, senza eccezioni, al fine di ristabilire la legalità costituzionale e la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni dello Stato Repubblicano, condizione essenziale del progresso sociale e civile del Paese [14].

Figg. 4-5. Inaugurazione delle lapidi e interventi del sindaco di Imola e dell’Anpi, 1973 [Cidra].
Figg. 4-5. Inaugurazione delle lapidi e interventi del sindaco di Imola e dell’Anpi, 1973 [Cidra].

Si sentiva quindi, in quel momento politico percepito come delicato, il bisogno di creare un momento pubblico in cui rilanciare l’antifascismo e riattualizzare la Resistenza. Si decise quindi di dare risalto ai caduti della lotta per «sconfiggere le forze nazifasciste per aprirci la strada ad un avvenire migliore» e si chiese uno sforzo, sia economico che politico, non solo ai partigiani e alla cittadinanza ma anche alle banche, alle cooperative e agli enti [15]. Oltre a una buona risposta della cittadinanza (furono raccolte più di 800 mila lire), anche diversi enti privati come la Benati Spa, la Banca cooperativa di Imola, la Cassa di risparmio, la Sacmi e Grafiche Galeati risposero all’appello e contribuirono alla realizzazione delle lapidi. Nelle lettere di risposta veniva sottolineata la volontà di partecipare per «degnamente onorare i valori morali ed eroici dei 107 Concittadini caduti nella Lotta di Liberazione» [16].

Il Monumento al partigiano fu inoltre incluso nel testo Monumenti alla libertà del 1986, curato dall’architetto Luciano Galmozzi. Nel maggio 1984 l’architetto scrisse all’Anpi imolese chiedendo quali monumenti includere nella sua mappatura di opere ispirate o dedicate alla Resistenza:

Sto per terminare una ricerca sulle opere d’arte ispirate o dedicate alla Resistenza per onorare Partigiani, Militari, Deportati e Vittime della violenza nazifascista, eretti dopo la Liberazione. Per monumento intendo ogni opera: dipinto o scultura o volume evocativo, chiesa o sacrario o spazio espressamente costruito, anche fuori dai limiti di tempo indicati, in memoria di avvenimenti collettivi o di eminenti personalità dell’antifascismo. Escludo solo lapidi, cippi e steli, che già rientrano in numerose raccolte compilate da Associazioni o Istituti storici locali. Questo lavoro, che sta per concludersi con una pubblicazione dal titolo Monumenti alla libertà, ha ancora bisogno del prezioso aiuto di chi ha comunque contribuito a questa civile “memoria”, e al quale mi rivolgo anche nella mia qualifica di consigliere nei direttivi sia dell’Anpi sia dell’Istituto Storico locali [17].

L’Anpi locale propose, oltre al Monumento al partigiano, anche il monumento sul monte La Faggiola ed il monumento a Ca’ Genasia [18]. Nell’introduzione al volume, Galmozzi presentò l’opera come un mezzo attraverso cui avvicinare le persone a produzioni artistiche meno visibili (molti monumenti e luoghi legati alla Resistenza si trovano infatti in luoghi non sempre di facile accesso) e meno famose rispetto a film o opere di narrativa [Galmozzi 1986, 15]. Gli anni Settanta furono un periodo generale di ripresa di creazione di opere legate alla Resistenza, anche in conseguenza dei cambiamenti legati al periodo sessantottino [Dogliani 1995, 464-465] e sia questo testo che la seconda inaugurazione del monumento si inserirono in questo contesto di rinnovata riflessione sulla memoria della Resistenza.

3. Ogni artista è anarchico [19]

Gli articoli polemici del 2017 non mossero accuse dirette allo scultore, Angelo Biancini: gli obiettivi di quelle accuse erano fondamentalmente l’Anpi e lo schieramento antifascista. Ho comunque ritenuto importante conoscere meglio quell’artista e il suo contesto sia sociale che artistico. Angelo Biancini era uno scultore già famoso all’epoca, nato a Castel Bolognese il 24 aprile 1911 e diplomatosi nel 1934 (anno in cui partecipò anche alla sua prima Biennale di Venezia) al Regio istituto d’arte di Firenze, periodo in cui aveva frequentato soprattutto lo studio dello scultore Libero Andreotti [20]. Lo scultore, noto nel suo paese d’origine con il diminutivo di Anzulè, lavorò con un gran numero di materiali, legno, marmo, ferro, ceramica, vincendo importanti concorsi ed esponendo statue nel Foro Mussolini (1933, Atleta vittorioso), sul ponte delle Vittorie a Verona e al cimitero di Faenza [Bertoni 2012]. Il 1936 fu per Biancini un anno importante: partecipò infatti alla Triennale di Milano e presentò Donna romagnola alla Biennale di Venezia, «opera di semplice e solido modellato, lontana allo stesso modo dalle sublimazioni classicistiche quanto dal far leggiadro con il quale altri giovani della sua generazione […] cercavano di reagire alle solennità del monumentalismo ufficiale» [Solmi 1987, 10]. Secondo Franco Solmi, gli scultori e gli autori di pitture murali in quegli anni operavano «con ben precisa coscienza» su due linee distinte: da un lato dovevano attenersi agli schemi «dell’ufficialità» e alle norme d’immagine per quanto riguardava le opere pubbliche, dall’altro lato seguivano una linea di ricerca più «intimistica». Tra le statue dello stadio dei marmi di Roma, ispirato «alla grandezza urbanistica dell’antichità classica» [Le statue dello stadio dei marmi 2022], l’Atleta vittorioso creato da Biancini si distingueva dalle altre per via di una corporeità meno imponente: per quanto l’artista si sia dovuto uniformare allo schema esecutivo predefinito, la sua statua era meno legata all’estetica promossa dal regime e difatti l’opera del 1933 Testa di atleta dispiegava maggiormente le «sue capacità introspettive del soggetto» [Bertoni 2006, 11]. Le committenze del regime offrivano agli artisti occasioni di lavoro che non erano riscontrabili sul mercato privato (secondo Solmi esso era inesistente come struttura organizzata) e questo permetteva poi loro di creare opere che, a livello artistico, erano anche in «aperto contrasto» con l’estetica ufficiale: un esempio in tal senso è il lavoro di Biancini Bambina con frutta realizzato mentre nel 1938 lavorava alla «grande macchina decorativa del Ponte delle Vittorie di Verona»; secondo Solmi Bambina con frutta è una «straordinaria sintesi di naturalismo e d’arcaismo» dove «ogni accento retorico è così decisamente rifiutato da rendere difficoltoso un paragone con l’autore di Vittoria e Noi tireremo dritto» [Solmi 1987, 11]. Nel suo libro su Biancini, Solmi scrisse che i documenti del tempo che aveva raccolto dimostrano come lo scultore fosse una parte importante

di quella cultura di fronda, che poi divenne cultura dell’antifascismo, sulla quale si baserà il più radicale rinnovamento dell’arte italiana del dopoguerra. Fu, insomma, un artista irreparabilmente irregolare anche quando poteva apparir grato agli amanti dei canoni di una quieta conservazione o a coloro che scambiavano l’eroismo con la retorica declamatoria. Leggendo il regesto si vedrà che assai di rado Biancini si trovò a doversi pentire del lavoro compiuto e quando credette di dover negare qualcosa il riferimento esplicito fu al monumento veronese del Ponte delle Vittorie. Ma anche questo giudizio fu attenuato dal fatto che egli non cessò di riesporre e di ripubblicare immagini di quel lavoro anche negli anni della piena maturità [Solmi 1987, 12].

Nel dopoguerra lo scultore si rapportò molto col tema del martirio e continuò a sviluppare un certo tipo di arte religiosa che testimoniava un approccio molto personale alla spiritualità.

Biancini non ha mai taciuto la sua storia artistica e professionale, come affermato da Solmi, ma come possiamo anche riscontrare sfogliando i cataloghi che raccolgono le sue opere e come possiamo vedere nel suo museo a Castel Bolognese. In occasione di una mia visita ho avuto l’opportunità di parlare con Cesare Biancini, figlio dell’artista, che attraverso i suoi ricordi mi ha accompagnata in un viaggio di scoperta della vita dello scultore e del suo rapporto con il Monumento al partigiano [21]. Come molte famiglie di quelle zone, anche quella di Biancini aveva una forte radice anarchica e questo ebbe non poche conseguenze durante il periodo fascista: il padre, ad esempio, si scontrò più volte con i fascisti locali e lo zio dovette scappare in Argentina per le sue idee politiche. A detta del figlio, per quanto Biancini andasse molto fiero della tradizione anarchica della propria famiglia, la politica non era per lui un tema esplicito. Aveva comunque dei legami forti con l’Anpi e con personalità come Arrigo Boldrini e la segretaria del Partito comunista di Ravenna Maria Bartolotti, anche lei partigiana (nome di battaglia: Piera). Molte sue opere successive rappresentarono partigiani, come ad esempio Monumento ai caduti (Argenta 1955), Trionfo della Resistenza (Alfonsine 1973), A don Giovanni Minzoni (Argenta 1973) e Monumento in onore di Armando Borghi (Castel Bolognese 1984). Questi monumenti sono esteticamente molto diversi da quello di Imola [Galmozzi 1986], opera di cui, riporta il figlio, Biancini parlava pochissimo. Forse il breve lasso di tempo in cui gli venne chiesta la statua, la sua rapidità nel terminarla (probabilmente basandosi su bozzetti realizzati in precedenza, come riportato nel libro Angelo Biancini. Sculture e ceramiche dagli anni Trenta al dopoguerra [Bertoni 2006, 47]) e la mancanza di altri riferimenti estetici, dal momento che quello fu il primo monumento italiano raffigurante un partigiano, lo portarono a realizzare una statua di cui non era particolarmente soddisfatto. Fattori come la corrispondenza con la fonderia [22], il fatto che lui firmò come Anzulè [23] solo pochi pezzi (come Annunciazione, sempre del 1946), che usò – come racconta il figlio – come modello tale Pizziolo, giovane calciatore della zona nato negli anni Venti, ed infine che l’animale raffigurato nel basso rilievo più che un’antilope ricorda un animale del luogo [24], delle montagne dove i partigiani combatterono [Bertoni 2006, 48], fanno pensare che la statua non sia stata realizzata nel 1936 per altro scopo.

4. Arte, partecipazione e memoria pubblica

Nel 2015, il monumento venne “inaugurato” una terza volta, in occasione del progetto promosso dall’artista Annalisa Cattani Quando un posto diventa un luogo. Il progetto, avviato a Bolzano nel 2010, si basa sull’idea di dare vita a uno o più monumenti in contesti cittadini diversi, adattandone l’entità viva, facendoli rivivere, cercando però di non strumentalizzarli. Relativamente al monumento di Imola, l’artista Cattani, nel corso di un’intervista da me condotta, ha affermato che «progetti contemporanei di oggi possono servire per ritirare fuori la resistenza di ieri» [25]. Il suo percorso di formazione artistica l’ha portata a interrogarsi sull’arte relazionale, pubblica, e sul fatto che essa è dedicata non solo a uno spazio ma anche alla compagine sociale che la circonda. Come chiave interpretativa per il progetto di Quando un posto diventa un luogo, Cattani si rifà ad un’affermazione del geografo Yi-Fu Yuan, ovvero «quando un posto diventa familiare si può definire luogo»: quando riscopriamo un luogo dimenticato o torniamo a guardare un angolo o un monumento della nostra città, soffermandoci sul suo significato, lo riportiamo allo statuto di luogo [26]. Prima di Imola, il progetto si è svolto anche a Bolzano, Cremona e Siena e si è focalizzato su monumenti e luoghi, ad esempio un parco, una galleria commerciale e una piazza del mercato, dimenticati e/o divisivi. In ogni contesto è sempre stata coinvolta la cittadinanza ma soprattutto gruppi sociali specifici come le scolaresche a Bolzano, disoccupati e ragazzi drop-out di Cremona, le donne delle contrade senesi.

Obiettivo di questo percorso artistico-storico è stato quello di rendere cittadine e cittadini di diverse età sensibili alla memoria e alle sue problematiche. A Imola, grazie alla collaborazione con il Cidra, Cattani ha creato un gruppo di lavoro artistico-storico in modo da rendere tali discipline «dei dispositivi dialettici e non delle materie». Sono stati così strutturati dei laboratori educativi (due ore su storia dell’arte contemporanea, due ore di storia, incontri con testimoni), che si concludevano con la presentazione degli elaborati di studenti e studentesse delle medie e superiori, stimolati a fare lavori collettivi. L’obiettivo era quello di adottare un monumento e farlo raccontare agli studenti in modo nuovo [27]. Dal momento che il Monumento al partigiano era dedicato ai giovani caduti che nella vita avevano fatto i lavori più disparati, dall’idraulico al musicista, studenti e studentesse delle scuole Orsini hanno raccolto oggetti legati a questi mestieri, li hanno dipinti di bianco e li hanno distesi davanti al monumento e il giorno della celebrazione un ragazzo ha letto i nomi dei partigiani, elencando le rispettive professioni. Così per Cattani, dopo 42 anni dall’inaugurazione, le targhe del monumento hanno riacquistato una nuova voce.

L’anno dopo, i protagonisti del progetto sono stati alunni del Cpia (Centro provinciale per l’istruzione degli adulti), principalmente ragazzi stranieri che stavano imparando l’italiano. La re-inaugurazione è consistita nel leggere i nomi dei caduti e legarne la memoria a quella dei caduti delle loro terre: «creando una rete di resistenze internazionali […] rivedevano nelle storie di una partigiana torturata alcune storie dei loro paesi di provenienza». E, aggiunge Cattani, la polemica delle testate giornalistiche nei confronti del monumento non era, agli occhi degli studenti coinvolti, delegittimante: «quanto vedevano era un monumento in cambiamento, che era cambiato e che poteva cambiare ancora» [28]. Per quei ragazzi l’importanza del monumento stava nel suo essere nel presente un simbolo di resistenza. Inoltre, secondo Cattani, la loro partecipazione a tale progetto culturale è stata una spinta a conoscere e entrare nel tessuto cittadino, partecipando ad un’attività artistica e culturale hanno sì imparato ma anche fatto

esperienza di quel particolare luogo e trasformato così in realtà ciò che avevano studiato […]. La partecipazione vuol dire, dunque, fare cultura ed esperienza allo stesso tempo. Per loro ha significato interrogarsi sul concetto di dittatura, di libertà, ha voluto dire riprendere storie e monumenti dalla loro terra: la re-inaugurazione del monumento è stata un catalizzatore di consapevolezza e riflessione [29].

Questo progetto si inserisce nella scia di esperienze che, secondo la storica dell’arte Emanuela De Cecco, stanno cercando di mettere in discussione la presenza e il significato dei monumenti tradizionali, declinandoli al presente: «ma è sempre più difficile immaginare a quale comunità si parla, quali eroi vale ancora celebrare, se esistono e quali sono i valori collettivi» [De Cecco 2016, 130].

Questa indagine, per quanto abbia ricostruito le fasi della realizzazione del monumento, non si è conclusa con le risposte solide che speravo, dal momento che alcune delle argomentazioni emerse dalla polemica non sono materialmente verificabili. Essa è stata però un importante momento di riflessione sulle varie problematiche relative alla monumentalizzazione della memoria, e sul fatto che questi luoghi del ricordo possono ancora oggi essere oggetto di scontro e tensioni. Non è una novità, nella storia dell’arte, che certe opere e monumenti vengano riutilizzati e modificati: interessante in questo senso il caso del Monumento ai martiri italiani che hanno sacrificato la giovinezza per il loro ideale, realizzato nel 1924 dallo scultore Armando Violi e conservato presso il cimitero monumentale di Milano. L’opera venne realizzata per celebrare tre giovani appartenenti al fascio milanese, Edoardo Crespi, Cesare Melloni ed Emilio Tonoli, caduti durante gli scontri del 4 agosto 1922, a seguito del secondo attacco fascista alla sede dell’«Avanti!». Com’è possibile vedere dalle immagini sottostanti, fascio e aquila sono stati tolti e l’opera è stata risemantizzata nel suo contrario: con essa si vuole ricordare un’altra gioventù, ovvero quella che vent’anni dopo la realizzazione dell’opera cadde combattendo dalla parte opposta, ed è ancora oggi luogo sotto cui viene posta la corona di alloro il 25 aprile.

Fig. 6. La scultura di Armando Violi nella versione originale e in quella attuale [Scultura - Monumento sepolcrale - Monumento ai Caduti Fascisti - Armando Violi - Milano - Cimitero Monumentale; Cimitero Monumentale. Fascismo, Antifascismo e Resistenza].
Fig. 6. La scultura di Armando Violi nella versione originale e in quella attuale [Scultura - Monumento sepolcrale - Monumento ai Caduti Fascisti - Armando Violi - Milano - Cimitero Monumentale; Cimitero Monumentale. Fascismo, Antifascismo e Resistenza].

Nel contesto di miseria del dopoguerra, non era pensabile gettare via del marmo, così si decise di modificare quegli elementi decorativi e dedicare il monumento, con questa trasformazione, alla memoria dei martiri antifascisti [Miedico 2020]. Inoltre, l’origine della statua non è un mistero ed è esplicitata sui canali di informazione del cimitero monumentale, anche attraverso una passeggiata dedicata a

ripercorrere l’universo sociale presente all’epoca del regime. Sarà quindi possibile soffermarsi sulle sepolture di partigiani, uomini e donne politici (Leo Valiani e Lina Merlin); si visiteranno poi sia i monumenti dei sostenitori del governo fascista, cercando di evincere quali ragioni li spinsero a tale scelta politica (Martiri italiani che sacrificarono la vita per il loro ideale, l’avvocato Cesare Sarfatti e il futurista Filippo Tommaso Marinetti); sia i monumenti e le sepolture degli oppositori a tale regime (Arturo Toscanini, Titta Ruffo, Ernesto Treccani e Fernanda Wittgens); infine si potranno commemorare le vittime della deportazione nazi-fascista (Monumento ai caduti nei campi di concentramento nazisti e Martiri di Meina) [30].

Ciò non è avvenuto nel caso imolese e, come già evidenziato nell’incipit dell’articolo, il sollevare quella polemica rispondeva alla volontà di minare la validità di una proposta di legge e la credibilità di personalità politiche, oltre che del lavoro dell’Anpi.

La memoria resistenziale, così come l’arte ad essa legata, è un terreno tutt’altro che “risolto” e per questo non è solo necessario un costante dibattito, ma anche il non lasciare che il timore di affrontare questioni potenzialmente scomode scoraggi l’indagine storica e il confronto con il pubblico. Come scritto da Galmozzi nell’introduzione al volume già citato,

L’arte, durante e dopo la Resistenza, anche se non esplode subito, si riprende, si rifà, risale una china abbandonata, un cammino che viene da lontano, ed esprime «la vita come qualcosa che può ricominciare da zero». […] Alle affermazioni personali e spontanee subentrarono le manifestazioni collettive: le comunità o le associazioni incaricarono artisti, scultori, architetti di produrre opere che testimoniassero o tramandassero le gesta del partigiano o le sofferenze delle vittime. Nacquero i primi “monumenti alla Resistenza”, le memorie, i busti, le lapidi, i cippi che sono poi diventati innumerevoli su tutto il territorio [Galmozzi 1986, 15].

Come ci insegna l’esperienza di Annalisa Cattani, i luoghi della memoria non sono immobili ma nuove voci si stratificano su di essi, in certi casi ri-attualizzandoli.

Riflettendo sugli scontri avvenuti a Charlottesville nell’agosto 2017 relativi alla rimozione delle statue confederate [31] e sul dibattito in merito alla legge Fiano, Joshua Arthurs afferma che la «“real estate” of memory» sia diventata un campo di battaglia in cui populismo, etnocentrismo e nativismo si scontrano con liberalismo, multiculturalismo e cosmopolitismo [Arthurs 2019, 126]. Tanto a Roma quanto a Charlottesville, non si sono confrontate solo diverse agende politiche ma diversi modi di concepire la relazione tra passato e presente, e il presente è in realtà ciò che è davvero in discussione [Arthurs 2019, 132-134]; forse anche per questo motivo il video di Riccardo Mondini sul monumento imolese è diventato rilevante molti anni dopo la sua pubblicazione.

In tale contesto, il ruolo di storiche e storici può essere quello di far emergere le radici delle divisioni e crisi sociali e “spacchettare” le narrazioni mitiche e i simboli contestati, «reveal the ways in which the ‘new’ is often clothed in the garb of the ‘old’», mostrando come esse hanno assunto e assumono nuovi significati nel tempo [Arthurs 2019, 134-135].

Bibliografia

  • Amorosi 2017
    Antonio Amorosi, Da ridere. Il monumento al partigiano è un guerriero fascista e…, in blog Antonio Amorosi, 22 settembre 2017, http://www.antonioamorosi.it/2017/09/22/da-ridere-il-monumento-al-partigiano-e-un-guerriero-fascista-e/.
  • Arthurs 2019
    Joshua Arthurs, The Anatomy of Controversy, from Charlottesville to Rome, in «Modern Italy», 24, 2 (2019), pp. 123-139.
  • Bertoni 2006
    Franco Bertoni, Angelo Biancini. Sculture e ceramiche dagli anni Trenta al dopoguerra, Faenza, Fondazione Museo Internazionale delle Ceramiche, 2006.
  • Bertoni 2012
    Franco Bertoni, Angelo Biancini. A cent’anni dalla nascita, Ravenna, Danilo Montanari Editore, 2012.
  • Cartaldo 2017
    Claudio Cartaldo, E il monumento al partigiano in realtà è un soldato fascista, in «Il Giornale», 22 settembre 2017, https://www.ilgiornale.it/news/cronache/e-monumento-partigiano-realt-soldato-fascista-1444870.html.
  • Cidra 2005
    Immagini di guerra 1944-1945, a cura di Cidra, Imola, Bacchilega Editore, 2005.
  • De Cecco 2016
    Emanuela De Cecco, Non volendo aggiungere altre cose al mondo. Politiche dell’arte nella sfera pubblica, Milano, Postmedia, 2016.
  • Dogliani 1995
    Patrizia Dogliani, Luoghi della memoria e monumenti, in Bologna in Guerra 1940-1945, a cura di Brunella Dalla Casa, Alberto Preti, Milano, FrancoAngeli, 1995, pp. 461-475.
  • Galassi 1995
    Nazario Galassi, Imola dal Fascismo alla Liberazione 1930-1945, Imola, Editrice il Nuovo Diario Messaggero, 1995.
  • Galmozzi 1986
    Luciano Galmozzi, Monumenti alla libertà. Antifascismo Resistenza e pace nei monumenti italiani dal 1945 al 1985, Milano, La Pietra, 1986.
  • Gli omaggi partigiani 2017
    Gli omaggi partigiani alla statua riconvertita, in «EdicolaWebTV», 23 settembre 2017, https://www.edicolaweb.tv/in-italia/gli-omaggi-partigiani-alla-statua-riconvertita/.
  • Gresleri, Massaretti 2001
    Norma e arbitrio. Architetti e ingegneri a Bologna 1850-1950, a cura di Giuliano Gresleri, Pier Giorgio Massaretti, Venezia, Marsilio, 2001.
  • Le statue dello stadio dei marmi 2022
    Le statue dello stadio dei marmi di Roma, in «ADO - Analisi dell’opera», 28 gennaio 2022, https://www.analisidellopera.it/le-statue-dello-stadio-dei-marmi-di-roma/.
  • Mentana 2017
    Stefano Mentana, Cosa dice la legge Fiano contro la propaganda fascista, in «The Post Internazionale», 14 settembre 2017, https://www.tpi.it/news/legge-fiano-cosa-dice-2017091454300/.
  • Miedico 2020
    Cristina Miedico, Da Armodio e Aristogitone ad oggi: quando la Storia passa per le statue, in «Gariwo», 15 giugno 2020, https://it.gariwo.net/editoriali/da-armodio-e-aristogitone-ad-oggi-quando-la-storia-passa-per-le-statue-22451.html.
  • Mili 2007
    Romano Mili, Cuore di pietra. Un progetto di Public Art a Pianoro, Bologna, Clueb, 2007.
  • Pirazzoli 2008
    Elena Pirazzoli, Memorie intime, memorie stratificate. La stazione di Bologna come nonluogo del ricordo, in Bologna Centrale. Città e ferrovia tra metà Ottocento e oggi, a cura di Riccardo Dirindin, Elena Pirazzoli, Bologna, Clueb, 2008.
  • Pirazzoli 2021
    Elena Pirazzoli, Sul piedistallo della storia. Statue innalzate, contestate, difese e demolite dalla Rivoluzione francese a oggi, in «E-Review», 8/9 (2021-22), https://e-review.it/sul-piedistallo-della-storia-statue-innalzate-contestate, pp. 93-128.
  • Solmi 1987
    Franco Solmi, Angelo Biancini, Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna, Bologna, Edizioni Analisi, 1987.
  • Tampieri 2007
    Natale Tampieri, Imola 14 aprile 1945. Riflessioni sulla Resistenza, Imola, Bacchilega Editore 2007.
  • Tolomelli 2015
    Marica Tolomelli, L’Italia dei movimenti. Politica e società nella Prima Repubblica, Roma, Carocci, 2015.
  • Zagarrio 1976
    Vito Zagarrio, Il fascismo e la politica delle arti, in «Studi Storici», 17, 2 (1976), pp. 235-256.

Risorse


Note

1. Video di Riccardo Mondini, Monumento al partigiano, 15 maggio 2009, https://www.youtube.com/watch?v=0HqIJBNrsAw.

2. Non ho trovato alcuna menzione in merito, neanche in testi di riferimento come Galassi 1995, Tampieri 2007 e Cidra 2005.

3. Centro Imolese di documentazione sulla Resistenza antifascista e storia contemporanea (CIDRA), Archivio Anpi Imola, Spese e sottoscrizioni per monumenti e lapidi ai partigiani, cont. 19, cart. 65, Lettera del Comitato cittadino per l’erezione di un ricordo marmoreo ai cittadini caduti per la libertà, 5 febbraio 1946.

4. Ivi, Verbale della riunione sulla realizzazione di un monumento ai partigiani, 1 febbraio 1946, da cui risulta la seguente composizione della commissione artistica: «Prof. Taddeo Della Volpe, Prof. Marcotti, Arch. Serantoni, Ing. Cacciari, Dr. Meluschi Antonio, Arch. Iandi, Prof. Romiti, Dr. Lenci Egidio, Sig. Tabanelli Amedeo».

5. Ivi, Lettera del Comitato cittadino per l’erezione di un ricordo marmoreo ai cittadini caduti per la libertà, 5 febbraio 1946.

6. «La lotta», 17 febbraio 1946, p. 3; su «Il nuovo diario» del 23 febbraio 1946, p. 3, fu pubblicato un articolo simile che aggiunse «Si fa appello alla cittadinanza, perché generosamente contribuisca all’attuazione di questa iniziativa, mostrando anche in questa occasione l’affetto che la lega ai suoi figli caduti».

7. Preventivo di spesa per il Monumento al Partigiano, in «Il momento», 3 marzo 1946, p. 2.

8. Inaugurazione del Monumento al Partigiano, in «Il momento», 12 maggio 1946, p. 3.

9. Polemichetta artistica sul Monumento al Partigiano, in «La lotta», 12 maggio 1946, p. 2; corsivo nell’articolo originale.

10. Precisazione, in «Il nuovo diario», 11 maggio 1946, p. 3.

11. La Commissione Artistica dimentica che per fare le cose bisogna lavorare, in «Il momento», 12 maggio 1946, p. 3.

12. CIDRA, Archivio Anpi Imola, Spese e sottoscrizioni per monumenti e lapidi ai partigiani, cont. 19, cart. 65, Lettera del presidente del Comitato Claudio Montevecchi «ai compagni partigiani», 1 agosto 1973.

13. Ivi, Volantino Incontro della Resistenza e dello Antifascismo Tosco-Romagnolo, 2 settembre 1973.

14. Ibidem.

15. Lettere e ricevute conservate presso CIDRA, Archivio Anpi Imola, Spese e sottoscrizioni per monumenti e lapidi ai partigiani, cont. 19, cart. 65.

16. Ivi, Lettera della Banca cooperativa di Imola, 24 agosto 1973.

17. Ivi, Lettera di Luciano Galmozzi sulla pubblicazione Monumenti alla Libertà, 2 maggio 1984.

18. Ivi, Lettera di Elio Gollini sui monumenti alla Resistenza, 16 maggio 1984.

19. Riferimento a un articolo intitolato Ogni artista è anarchico. Ma l’irrequieta anarchia di Angelo Biancini è un modo polemico per scoprire la verità degli uomini in un mondo di sofferenza e di speranze, conservato presso il Museo all’aperto Angelo Biancini a Castel Bolognese.

20. Anzulè – biografia, https://www.angelobiancini.com/about.

21. Intervista a Cesare Biancini, 22 marzo 2022. Ringrazio molto Cesare per la sua disponibilità, Gianni Bernabè per averci messi in contatto (e per la calda ospitalità) ed Elena Pirazzoli per avermi sostenuta e accompagnata in questa ricerca.

22. L’archivio del Cidra conserva le ricevute e la sua corrispondenza con la Fonderia artistica in bronzo Guastini Primo, di Verona, con riportati le quantità di materiale, i costi e i pagamenti saldati.

23. L’artista era infatti noto nel suo paese d’origine con questo diminutivo (secondo l’uso locale di usare soprannomi).

24. È un soggetto presente anche in altre opere di Biancini e probabilmente allude al capriolo.

25. Intervista ad Annalisa Cattani, 12 aprile 2022.

26. Ibidem.

27. Ibidem.

28. Ibidem.

29. Ibidem.

30. Sito web del cimitero monumentale di Milano, Fascismo, Antifascismo e Resistenza, https://monumentale.comune.milano.it/itinerari/fascismo-antifascismo-e-resistenza.

31. Uno degli eventi che ha ispirato la realizzazione del dossier di cui fa parte questo articolo, si veda in merito Pirazzoli 2021.