Cinquant'anni fa veniva fondato l’Istituto storico Parri dell’Emilia Romagna, allora come deputazione per la regione dedicata allo studio e alla conservazione di testimonianze e pubblicazioni sul movimento di Liberazione, inserito all'interno della rete nazionale degli Istituti storici della Resistenza. Nel 1963 la guerra era ancora vicina e allo stesso tempo l’Italia era entrata in uno scenario di crescita economica ed emancipazione sociale, che sul finire del decennio sarebbero sfociate in contestazione studentesca e rivoluzione culturale, spezzate tuttavia dall’affacciarsi di una nuova stagione, quella delle stragi. In quei primi anni Sessanta, riprendendo la posizione espressa già nel 1947 da Ferruccio Parri, ci si rese conto che era necessario evitare la dispersione di un patrimonio di conoscenza: bisognava “fare storia” su quanto era da poco accaduto, allo stesso tempo fondante per la Repubblica uscita dalla guerra e foriero di divisioni. Inoltre, se alcuni aspetti venivano mantenuti vivi nella memoria e nell’attualità, altri erano stati relegati nell’oblio: quanti sopravvissuti volevano raccontare la propria esperienza di deportazione o quella di aver assistito a un eccidio? E, soprattutto, quanti erano pronti per ascoltare quei racconti?

Cinquant’anni sono passati da allora e il ruolo degli istituti storici è più che mai necessario e urgente in Italia, dove l’approfondimento degli studi sugli anni del dopoguerra, della Guerra fredda e del post 1989 rimane ancora in buona parte da svolgere. Per tale motivo il Parri in questi anni ha affiancato al suo ruolo di luogo di conservazione e ricerca anche quello di produttore di “nuovi materiali” per la ricerca e la divulgazione, come i montaggi di filmati o la valorizzazione dei fondi fotografici: per raccontare il Novecento è fondamentale passare attraverso i documenti visuali che l’ultimo secolo ha prodotto come nessuna epoca precedente.

In occasione di questo anniversario l’Istituto Parri, oltre a rinnovare il proprio portale on line, ha prodotto una serie di iniziative volte non solo alla messa in mostra di alcuni dei documenti del proprio archivio (fondi librari, cartacei e fotografici) ma, grazie anche alla collaborazione con Home Movies – Archivio nazionale del film di famiglia, ha avviato anche la riflessione su materiali “nuovi”, come i filmati amatoriali, grazie ai quali è possibile guardare la storia da un punto di vista diverso, quello di chi la vedeva scorrere sotto i propri occhi come quotidianità. Di questo si è parlato, ad esempio, nel workshop dedicato a La Città immaginata. Dalla progettazione politica allo sguardo privato, parte del più ampio progetto su “Bologna e l’Emilia Rossa. Economia, politica, immaginario e culture tra Guerra fredda e fine di un sogno in Emilia Romagna”, da sviluppare nell’arco dei prossimi due anni.

La quotidianità “non comune” dei passaggi storici è testimoniata anche dal ritrovamento delle fotografie del soldato americano Ed Reep che, il 21 aprile 1945, scattò istantanee a chi portava le immagini dei propri cari da affiggere sul muro dove fino a poche ore prima avvenivano le fucilazioni dei partigiani. Un memoriale spontaneo e straordinario di cui la Bologna di oggi ricorda poco perché non ha più negli occhi le immagini di quelle persone che, con lo sguardo triste, duro e fiero, arrivavano con documenti, fotografie estratte dai portafogli o tolte dai muri insieme alle loro cornici per poter creare un altare in memoria dei loro cari caduti nella guerra di Liberazione.