1. La Federazione ferrarese del Partito comunista italiano

Il 30 gennaio del 1921, a Bondeno, venne fondata la prima sezione comunista della provincia di Ferrara a cui fece seguito la costituzione di altre sezioni all’interno della provincia. Fu ai margini meridionali di Ferrara, presso la trattoria Ai Voltini nel borgo popolare di San Luca, luogo quasi per definizione di “sovversivi” e di “anarcoidi”, che il 6 febbraio del 1921, una settantina di militanti provenienti da varie località della provincia e un centinaio di iscritti alla Federazione giovanile socialista fondarono la Federazione provinciale del Partito comunista d’Italia (Pci).

L’esordio del nuovo partito, con segretario Francesco Boldi, coincise con la diffusione nel Ferrarese delle “squadracce” fasciste di Italo Balbo. Per sottrarsi alle provocazioni ed evitare scontri diretti, dato lo squilibrio delle forze in campo a favore dei fascisti, i comunisti ferraresi furono costretti fin da subito a un’attività semiclandestina. Questo significò l’impossibilità dello svolgimento di un vero e proprio congresso provinciale. La Federazione giovanile, però, tra mille difficoltà e timori per l’offensiva fascista, riuscì comunque a svolgere il suo primo congresso provinciale alla fine di luglio del 1921. A causa delle dure persecuzioni fasciste vi fu, inoltre, un rapido avvicendamento dei responsabili della Federazione (nei primi tre anni si susseguono cinque segretari, tra cui la prima e unica donna: Parisina Bertocchi), rendendo quasi impossibile, per il nuovo partito, costruire una larga base di consensi. Nonostante questo, nell’estate del 1921 le sezioni erano già una quarantina; queste ottenevano migliori risultati in termini di adesioni nei piccoli centri rispetto a quelli medio-grandi. Le elezioni politiche del 15 maggio dello stesso anno, che a Ferrara si svolsero in un clima di illegalità e di violenza tale da mettere seriamente in dubbio la convalida dei risultati, colsero il Pci impegnato in una difficile fase organizzativa e non ancora in grado di svolgere un’efficace opera di proselitismo. Con l’avvento del regime, il Partito fu costretto alla clandestinità e la segreteria fu obbligata alla diaspora verso altre province: molti esponenti di spicco furono arrestati e condannati a diversi anni di carcere.

Fig. 1. La sezione del Pci di Poggio Renatico durante i lavori per la riparazione degli argini del Reno, dopo l’esondazione, 1952. (Iscofe, Archivio Federazione ferrarese del Pci).
Fig. 1. La sezione del Pci di Poggio Renatico durante i lavori per la riparazione degli argini del Reno, dopo l’esondazione, 1952. (Iscofe, Archivio Federazione ferrarese del Pci).

Il lavoro di riorganizzazione del Pci, dapprima a Ferrara e poi in provincia, conobbe una rapida accelerazione dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, quando furono liberati i detenuti e i confinati antifascisti. Pochi giorni dopo fu ricostituita una segreteria provvisoria della Federazione. I “45 giorni” dalla caduta di Mussolini all’armistizio dell’8 settembre, rappresentarono per tutti gli antifascisti l’uscita da un lungo tunnel. I gruppi comunisti poterono per la prima volta incontrarsi, conoscersi e porre le premesse indispensabili per la nascita di un’organizzazione unitaria nella provincia. Dopo l’armistizio, per il Pci il primo appuntamento pubblico fu lo “sciopero generale politico” del 9 settembre 1943. Così, dopo un lungo periodo di stasi, di silenzi e di ritardi, il Pci ferrarese rendeva pubblica la linea politica maturata negli anni successivi alla svolta dei fronti popolari, durante la guerra spagnola e i quattro anni di conflitto mondiale. Questa la linea sancita dagli accordi di Lione con il Psi e con Giustizia e Libertà: salvare l’Italia attraverso un’insurrezione nazionale, distruggere le cause del fascismo, costruire una democrazia repubblicana. La sera dello stesso giorno, però, le truppe tedesche occuparono la provincia di Ferrara, gli organizzatori della manifestazione del 9 settembre furono costretti a lasciare la città e a ottobre l’intera Federazione passò alla clandestinità e alla resistenza armata, nella quale il Pci ebbe un ruolo centrale [1].

2. La Repubblica e la nascita dell’archivio

A Liberazione avvenuta (23 aprile 1945), il Pci si ritrovò in una situazione completamente nuova, contraddistinta da un’adesione di massa che costrinse il Partito alla selezione e all’epurazione delle frange più estreme. Queste azioni di “pulizia” colpirono innanzitutto la massa dei braccianti agricoli che, fra gli anni Trenta e la fine degli anni Quaranta, era cresciuta in modo vertiginoso. Il nodo di quella conosciuta come la “questione bracciantile” fu centrale per tutta la storia di quelle lotte sociali nelle campagne ferraresi che avevano come fine principale quello di ripartire in modo equo lo scarso lavoro disponibile fra una massa di disoccupati cronici. Fra il 1945 e il 1948 gli espulsi dal Pci nel Ferrarese furono 549 (258 solo nel 1946), con una forte prevalenza di motivazioni politiche, quali la «indegnità di appartenere al partito» e la «incomprensione» della sua linea e delle sue direttive. Sono di questi anni i primi documenti della serie archivistica Segreteria e Comitato federale: in particolare, la sottoserie Comitato federale è tra le più longeve dell’archivio e, nonostante qualche lacuna, copre l’arco cronologico 1946-1990.

La riprova dell’avvenuta nuova fase del consenso fu l’esito delle prime consultazioni elettorali del 1946: già nelle elezioni amministrative il Pci ottenne una grande affermazione nel capoluogo, con il 43,48% dei voti. Il 31 marzo 1946 fu eletto il primo sindaco comunista di Ferrara: Giovanni Buzzoni. A partire da quelle elezioni, le giunte comunali di Ferrara furono rette ininterrottamente da sindaci comunisti. Anche nella provincia il Pci ottenne notevoli risultati elettorali: in tutti i comuni – a eccezione di Cento – si insediarono amministrazioni social-comuniste. Dopo i primi anni di governo locale, il partito cambiò atteggiamento nei confronti di queste amministrazioni: si passò dal considerare gli amministratori non più come semplici strumenti esecutivi del potere centrale – una sorta di attività marginale, di secondo piano – ma come una vera realtà politica, intendendo il comune una sorta di ente di autogoverno, nella sua fisionomia di “muro portante” di uno stato democratico. Di qui la necessità di formare una nuova classe di amministratori. Rispetto a questo elemento si vedano, ad esempio, la serie Congressi di federazione (31 buste) e i volumi degli atti dei congressi degli anni Cinquanta e Sessanta.

Fig. 2. La sezione del Pci di Poggio Renatico durante i lavori per la riparazione degli argini del Reno, dopo l’esondazione, 1952. (Iscofe, Archivio Federazione ferrarese del Pci).
Fig. 2. La sezione del Pci di Poggio Renatico durante i lavori per la riparazione degli argini del Reno, dopo l’esondazione, 1952. (Iscofe, Archivio Federazione ferrarese del Pci).

Con l’avvento della nuova fase come partito di massa, il ruolo del Pci era diventato più complesso e richiedeva un lavoro più incisivo nella realtà sociale e culturale della collettività. Infatti, nel programma – come il partito socialista prima – aveva sancito la realizzazione di un nuovo modo di convivenza civile di cui le classi subalterne sarebbero state artefici tramite l’emancipazione sociale e politica. Da questo nasceva la necessità di una costante e incisiva opera didattica capace di educare le masse, renderle attive, consapevoli della propria identità e del loro ruolo sociale. Non era possibile esercitare questa funzione esclusivamente in relazione agli appuntamenti elettorali, piuttosto era necessario avere una costante e organizzata attività. È da qui che maturava l’esigenza che si sviluppasse una struttura organizzativa stabile e articolata capace di elaborare l’azione politica in ogni parte del territorio, delle fabbriche e nei centri di aggregazione sociali. In questo modo sarebbe stato possibile coinvolgere, raccogliere istanze individuali e particolari – via via sempre più ampie – e configurarle in termini di programma generale. Di questa nuova fase l’archivio della Federazione ne dà ampiamente riscontro, si vedano ad esempio le sottoserie Commissione stampa e propaganda (otto buste), Organizzazione (17 buste), Tesseramento (13 buste) o le serie Commissione cultura e scuola (31 buste), Congressi di sezione (16 buste) e Istituti culturali (14 buste).

Fig. 3. La sezione del Pci di Poggio Renatico durante i lavori per la riparazione degli argini del Reno, dopo l’esondazione, 1952. (Iscofe, Archivio Federazione ferrarese del Pci).
Fig. 3. La sezione del Pci di Poggio Renatico durante i lavori per la riparazione degli argini del Reno, dopo l’esondazione, 1952. (Iscofe, Archivio Federazione ferrarese del Pci).

3. L’archivio storico della Federazione ferrarese del Pci

L’archivio della Federazione ferrarese del Pci copre l’arco cronologico che va dal 1945 al 1991, per un totale di 390 buste, di cui 15 prodotte dalla Federazione giovanile comunista italiana (Fgci). Il nucleo principale era conservato presso la sede del Centro Gramsci in via delle Vigne 4, dove rimase dal 1972 al 1975, anno in cui il Centro si trasferì in via Borgo di Sotto 36, diventando Istituto Gramsci. Fino al 1984, i documenti della Federazione rimasero presso l’Istituto dove, nello stesso anno, venne costituito un “gruppo di storia” con l’incarico del riordino dei documenti del Pci.

Ulteriore documentazione era depositata in corso Porta Mare. Grazie all’avvio del lavoro di riordino del materiale, avendo l’opportunità di riunire le carte, si decise di unificare i due nuclei documentari in quest’ultima sede. Un’incaricata dell’Istituto Gramsci iniziò il riordino di una prima corposa parte del materiale riguardante gli anni 1945-1964, ma il lavoro venne interrotto a causa di diverse vicende dell’Istituto Gramsci e della Federazione del Pci ferrarese. Con la dissoluzione del partito e la nascita del Partito democratico della sinistra (Pds) nel 1991, la bibliotecaria dell’Istituto Gramsci, Francesca Stabellini, proseguì il riordinamento delle carte per gli anni 1964-1991; il lavoro venne terminato due anni dopo e pubblicato in Tra le carte della federazione del PCI di Ferrara. Guida all’archivio storico, a cura del gruppo di lavoro della federazione Pds di Ferrara. Dal 2001 l’archivio è conservato presso l’Istituto di storia contemporanea di Ferrara (Iscofe) ed è qui che, dal 2013, un gruppo di lavoro sta procedendo con un ulteriore intervento finalizzato a un repertorio analitico-scientifico. L’operazione fa parte del più ampio progetto relativo alla storia del Pci ferrarese, articolato in ricerca storico-archivistica e bibliografica. Ad oggi – estate 2022 – l’archivio della Federazione è inventariato per un 70% [2].

4. L’archivio e la società

Attraverso la storia della Federazione ferrarese del Pci – e del suo archivio – è possibile ricostruire molti degli eventi avvenuti in provincia durante gli anni della Repubblica.  Se si volessero individuare degli snodi della storia sociale ed economica del Ferrarese, non si potrebbe che iniziare dalla “questione bracciantile”. Fra gli anni Trenta e la fine degli anni Quaranta la massa di braccianti era cresciuta in modo vertiginoso e, contemporaneamente, era aumentato il grado di sottoccupazione (la superficie media della terra condotta in economia e in compartecipazione era scesa di un terzo). L’agricoltura ferrarese riusciva a dare lavoro a un uomo adulto per nove mesi all’anno, a una donna per sei mesi e a un ragazzo per quattro. La “questione bracciantile” si prospettava, dunque, come il perno delle locali lotte sociali (si veda Commissione femminile, 22 buste). Fino al 1947 le organizzazioni sindacali erano riuscite a controllare il collocamento gestendolo direttamente – come a Forlì, Bologna e Ravenna – ma la perdita di questo controllo, assieme al varo della Riforma agraria, comportò, tra le altre cose, un crescente esodo di braccianti verso il triangolo industriale italiano e verso le altre città dell’Emilia. Una delle strade percorse come soluzione per risolvere la “questione bracciantile” fu quella di sostenere il settore industriale: settore economico che si era cercato di sviluppare già negli anni del fascismo. La prima area a essere coinvolta fu la lavorazione dei prodotti della terra, come nel caso degli zuccherifici o della Saigs, e successivamente si estese alla lavorazione dei prodotti del sottosuolo: il petrolio e il gas naturale (l’Aniene e la Montecatini/Montedison). Su questo rapporto e sui difficili equilibri tra ambiente, lavoro e territorio si veda, ad esempio, la serie Sezione problemi sociali e ambientali (dieci buste).

La Federazione e il suo archivio possono dare un forte contributo alla ricerca storica anche su altre questioni come quelle legate alla crescita urbana e ai problemi della casa – quest’ultima divenuta non più una questione privata, ma intesa ormai come un diritto sociale – o connesse allo sviluppo turistico del territorio costiero ferrarese, alla scolarizzazione di massa e alla crescita del welfare locale.

Bibliografia

  • Bagnolati 1976
    Luigi Bagnolati, Origini della federazione comunista ferrarese. Memoria e documenti, Modena, Riccardo Franco Levi editore, 1976.
  • Nani 2016
    Michele Nani, Migrazioni bassopadane. Un secolo di mobilità residenziale nel Ferrarese (1861-1971), Palermo, New Digital Press, 2016.
  • Parisini 1997
    Roberto Parisini, Partiti, società e amministrazione locale a Ferrara (1945-1955), in La ricostruzione di una cultura politica: i gruppi dirigenti dell’Emilia-Romagna di fronte alle scelte del dopoguerra (1945-1956), a cura di Angelo Varni, Bologna, il Nove, 1997, pp. 173-217.
  • Parisini 2022
    Roberto Parisini, Tra welfare pubblico e consumi privati. Sulle politiche del Pci in Emilia-Romagna, in Storia del Pci in Emilia-Romagna. Welfare, lavoro, cultura, autonomie (1945-1991), a cura di Carlo De Maria, Bologna, Bologna Universtity Press, 2022, pp. 281-327.
  • Preti 1989
    Alberto Preti, Il Partito comunista dal fascismo alla ricostruzione, in Storia illustrata di Ferrara, vol IV, a cura di Francesca Bocchi, Milano, Nuova editoriale Aiep, 1989, pp. 961-1296.
  • Quarzi, Tromboni 1980
    Anna Maria Quarzi, Delfina Tromboni, La Resistenza a Ferrara. 1943-1945. Lineamenti storici e documenti, Bologna, Clueb, 1980.
  • Roveri 1979
    Alessandro Roveri, L’affermazione dello squadrismo fascista nelle campagne ferraresi 1921-1922, Ferrara, Bovolenta, 1979.
  • Salani Favaro 2017
    Omar Salani Favaro, La città e il contesto sociale nella seconda metà del Novecento, in Arte contemporanea a Ferrara. Dalle neoavanguardie agli esiti del postmoderno, a cura di Ada Patrizia Fiorillo, Milano-Udine, Mimesis, 2017, pp. 23-30.
  • Sitti 1963
    Renato Sitti, Il primo antifascismo ferrarese 1920-1943, Ferrara, Centro culturale Antonio Gramsci, 1963.
  • Tromboni 2009
    Delfina Tromboni, Antifascisti, partigiani, deportati: uomini e donne tra dittatura fascista e occupazione nazista, in Gente di terra e di acque. il Comune di Formignana nel Centenario della fondazione (1909-2009), a cura di Delfina Tromboni, Ferrara, Nuovecarte, 2009, pp. 97-137.

Note

1. Si segnala la presenza di un fascicolo della 35° Brigata Garibaldi Bruno Rizzieri nell’archivio dell’Istituto Parri di Bologna; questa brigata operò a Ferrara nelle zone di Argenta, Comacchio e Campotto. Il fascicolo è costituito da alcuni elenchi di effettivi partigiani, da relazioni di attività svolte, da diari storici dei distaccamenti e delle compagnie che costituivano la brigata.

2. L’inventario è consultabile all’indirizzo: http://www.storiapciferrarese.it/.