Non sono molte le occasioni che forniscono agli storici spunti per nuovi percorsi di ricerca e, allo stesso tempo, permettono di riflettere sul loro mestiere. Il seminario tenuto a Padova il 16 maggio 2013 da Ilaria Porciani, dal titolo Musei. Dalla Public History all’uso pubblico della storia, nell’ambito dei seminari del Centro interuniversitario di storia culturale, è stato in questo senso un’opportunità davvero proficua. Il tema dell’incontro riguardava il piccolo Museo di Fiume, collocato in un’anonima palazzina romana in zona Laurentina, non lontano da dove nell’immediato secondo dopoguerra sorgevano le baracche predisposte per alloggiare gli esuli dalmati, fiumani e giuliani. Il caso del museo di Fiume a Roma è solo uno tra i tanti analizzati nell’ambito del progetto European National Museums (Eunamus), finanziato dall’Unione europea, e nel quale l’analisi dei musei di storia nazionale è al centro di un’ampia riflessione sul rapporto tra public history e uso pubblico della storia.

[[figure width="350px" align="left" caption="Locandina del seminario"]]./figure/2013/millan/millan_2013_01.jpg[[/figure]]Secondo la tesi esposta da Ilaria Porciani, i musei non solo esibiscono storia ma la producono. La storia scritta e prodotta dagli allestimenti museali ha uno straordinario impatto sul pubblico, di certo ben superiore a quello di monografie o articoli scientifici. Ed è allora quantomeno curioso che la riflessione degli addetti al mestiere si sia a lungo soffermata solo di sfuggita sui musei. Lo studio del mezzo – allestimenti, reperti esposti, modalità di conservazione e reperimento dei pezzi – è fondamentale per analizzare i significati e i significanti.

Nato negli anni Sessanta, il piccolo museo di Fiume è esemplare del percorso contrastato tra storia e memoria. Manifesti, dipinti, busti danteschi, raccolte di fotografie, ma soprattutto oggetti personali – che spaziano dalle reliquie, agli ex-voto laici, alle fotografie tolte dalle tombe dei parenti defunti prima della fuga, alle indicazioni stradali, alle pietre della città – rimandano tutti alla materialità e alla naturalità della nazione fiumana. E così anche le modalità con cui gli allestimenti e il repertorio museale si sono costituiti dicono molto del ruolo della memoria e del modo con cui essa di propaga e si riproduce. Per esempio, l’analisi dei donatori del museo ha permesso a Porciani di ricostruire il network della comunità di esuli fiumani, dalmati e giuliani – che spesso valica le differenze geografiche originarie e, ancora di più, quelle politiche – per ritrovarsi nella comunità ricostruita in un museo sorto a centinaia di chilometri di distanza dalla costa orientale dell’Adriatico.

L’esperienza comune dell’esilio diventa così il polo di attrazione per traiettorie individuali molto diverse, tanto da un punto di vista geografico che politico. Il museo permette di costruire/ricostruire una comunità e la sua drammatica narrativa attraverso gli oggetti, che rappresentano e intrappolano emozioni, storie individuali, aspirazioni e memorie. Questo carattere emozionale incide con forza sul racconto: l’allestimento museale impone la necessità di dare un’immagine semplificata e interessata della storia. E questo non solo per la materialità del veicolo di trasmissione della storia stessa, ma per il preciso obiettivo politico che il museo si propone.

Sotto questo aspetto, tuttavia, un importante cambio di passo si è avuto con lo scarto generazione tra gli esuli e i loro figli, che ha permesso al museo di Fiume di diventare un soggetto attivo di ricerca storica e di farsi polo di attrazione di incontri e riflessioni sul frammentato e contrastante passato delle terre adriatiche, che non sfocia nella ricerca a tutti i costi di una presunta memoria condivisa, ma di certo permette una molteplicità di voci e di esperienze che mirano ad arrivare a una conoscenza più dettagliata del passato.

Come il caso del museo di Fiume sembra ben testimoniare, il rischio concreto è che storici e musei viaggino su piani separati. In un’Europa nella quale le esaltazioni nazionalistiche negli allestimenti sono la regola, non di certo l’eccezione, la comunità degli storici non può sottrarsi alla sfida di misurarsi con quei numerosi e ben più efficaci produttori di storia che sono i musei.