1. Nota preliminare

Primi giorni di luglio del 1849: la Repubblica romana cade sotto la pressione di quattro eserciti stranieri, soprattutto per mano delle truppe francesi guidate dal generale Oudinot. La proclamazione della Repubblica era avvenuta il 9 febbraio di quello stesso anno e, dopo la fuga di Papa Pio IX, alla guida del governo era stato eletto un triumvirato formato da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi. Nelle ore tumultuose della resa si riesce a promulgare una Costituzione che, pur simbolica al momento, costituirà uno dei punti più alti del processo democratico di quel tempo e influirà profondamente sugli assetti istituzionali futuri, segnatamente sulla Costituzione che, quasi un secolo dopo, nel 1948, avrebbe connotato la Repubblica dell’Italia post fascista e post monarchica.

2. Tra evento storico e mito nazionale

In quegli stessi giorni, tra il 2 e il 3 luglio, Giuseppe Garibaldi, che aveva combattuto nella disperata difesa di Roma, decide di muoversi con circa 4.000 volontari alla volta di Venezia, che continuava a resistere. Sono uomini stanchi, laceri, demoralizzati. Col generale cavalcano: la moglie Anita, in uniforme da legionario, Ciceruacchio, col figlio adolescente, Ugo Bassi, il santo che aspira al martirio [Hayward 1933]. La semplice cronaca sembra annunciare l’epopea leggendaria [Cavicchioli 2017] e, puntualmente, negli anni successivi, al tempo della costruzione dell’Italia unita, non mancheranno i poeti cantori: «[…] Oggi l’Italia t’adora. Invòcati / La nuova Roma novello Romolo: / tu ascendi, o divino: di morte / lunge i silenzi dal tuo capo […]» [Carducci 1877].

Così Giosuè Carducci in una delle sue celebrazioni dell’eroe. Come noto, il laicissimo poeta d’Italia, peraltro, dedicherà carmi anche a Ugo Bassi e a Giuseppe Mazzini.

Più tardi, uno dei suoi allievi più illustri, Giovanni Pascoli, offrirà una composizione per il Comune di San Mauro, trasferita su lapide il 9 novembre del 1910. Una ode a Garibaldi per celebrare i cinquant’anni della partenza per Caprera, dopo l’incontro di Teano:

E sol uno vegliava dormendo ancor tutti / e come in sogno anch’esso / vedeva giovani in armi sopra una rupe / Ne udiva nella fresca alba / fremere al vento la bandiera come vela di nave / sonar l’unica tromba come bucina di pastore / Oh! Poesia d’azione di vita di morte / libera piena possente / e in terra d’esilio e in tempi di sventura / venne a lui dal mare / la poesia che muove che vive che crea / Giuseppe Garibaldi / che trasse l’ancor titubante giovine Italia / nell’America e nell’Europa / per mare e per terra / a combattere in quaranta battaglie / a vincere anche vinta / a essere / ora e sempre / 9 novembre 1860 / 9 novembre 1910 / Il Comune [Raffaelli 1986, 33-4].

In questo caso la visione del poeta sembra portarci oltre l’ambito nazionale, per condurci verso una dimensione universale: l’eroe dei due mondi chiama l’Europa, guarda al pianeta nella sua interezza, esce dall’angustia di una località toccata per caso. Sono messaggi che assumono valenza educativa in un paese ove il Risorgimento da molti viene ancora percepito come incompiuto, mentre, con alcuni protagonisti viventi, si cerca di assumerlo come riferimento per la definizione identitaria della nazione. La Trafila costituirà uno dei capisaldi di questo racconto a cui non mancheranno momenti di drammatica suspense, venati dal mistero dell’incanto. Ad alimentare la “sacra rappresentazione”, peraltro, contribuiranno le stesse parole del protagonista quando, ad esempio, nelle sue Memorie autobiografiche del 1872, descrive i momenti salienti di quella ritirata, ormai trasformatasi in un angoscioso rimpiattino: un «segreto che mi occultava come in magica nube alle ricerche de’ miei persecutori, non solamente austriaci, ma anche papalini, che erano i peggiori» [Garibaldi 1932, 188-9].

Fig. 1. Garibaldi nella pineta di Dante: la “selva oscura” salva l’eroe e l’Italia dall’inseguimento austriaco rappresentato dal cane [Dirani, Foschini e Mattarelli 2003]
Fig. 1. Garibaldi nella pineta di Dante: la “selva oscura” salva l’eroe e l’Italia dall’inseguimento austriaco rappresentato dal cane [Dirani, Foschini e Mattarelli 2003]
La dinamica dello scampo di Garibaldi in terra romagnola è stata studiata in modo appropriato e approfondito. Il nizzardo, dopo l’uscita da Roma nel tentativo di raggiungere Venezia, affronterà un drammatico itinerario che lo porterà a San Marino, Cesenatico per poi, sotto l’incalzare delle truppe austriache, convergere a Magnavacca, con l’aiuto di Giocchino Bonnet e altri residenti. Gli uomini sono ormai dispersi, Ugo Bassi, verso Comacchio, Ciceruacchio e i figli verso Venezia: tutti arrestati e fucilati. Rimasto solo con Anita e Giovan Battista Culiolo, detto Leggero, Garibaldi inizierà una peregrinazione, pericolosa fra gli acquitrini delle valli, per attraversare la provincia di Ravenna e ripiegare verso il territorio forlivese, a Modigliana, prima di passare in Toscana. Ma è la parte romagnola ad alimentare il mito: sia per alcuni aspetti notevoli e dolorosi, sia per la dinamica degli avvenimenti. A Mandriole, presso la fattoria Guiccioli, il 4 agosto, muore Anita, stroncata da febbri e fatiche inenarrabili [Cavicchioli 2017]. Ma per fuggire dalla tenaglia predisposta dagli austriaci occorre un sostegno diretto o indiretto delle popolazioni locali. I romagnoli nascondono Garibaldi nella «magica nube» o, almeno, tacciono sui movimenti dei suoi salvatori. Rischiano, ma il codice d’onore regge e un passo di storia nazionale si compie. Più tardi, il ramingare dell’eroe verrà accostato, non solo dai detrattori, alle avventure delittuose di Stefano Pelloni, detto il Passatore, un brigante. Ma alcune iconografie mostrano Dante e Garibadi insieme nella “selva oscura”: entrambi esuli, fuggiaschi, peregrini. La pineta assurge a simbolo: rifugio, locus ove ideali, poesia e narrazione si fondono a segnare destini di intere generazioni.

L’azione di pochi fidati, tra paludi, boscaglie, case “sicure”, capanni è già leggenda capace di alimentare fantasie, parabola sussurrata nelle notti d’inverno, da padri a figli, da nonni a nipoti.

3. Il capanno Garibaldi

Nel 1882 i soci di un capanno erto per la caccia palustre e che «fu riparo all’immortale eroe […] quand’era accanitamente perseguitato nel 1849» fondano la Società conservatrice del capanno Garibaldi in Ravenna. Lo scopo è di «mantenerne inalienabili i suoi diritti sul medesimo e curarne la scrupolosa conservazione, affinché sia tramandato ai posteri come sacro monumento di affetto e di ammaestramento» [Vittonatto 2005, 15]. Primo Uccellini avrebbe parlato di una nuova, laica, capanna di Betlemme, sintetizzando in tal modo molto bene le ritualità, le speranze e le forme aggregative che avrebbero ruotato attorno al monumento. La costruzione dell’Italia unita, d’altronde, si fonda anche sulla creazione di punti di riferimento simbolici; non guasta se, a corredo, ci sono testimonianze avventurose oscillanti fra storia e leggenda, colorate dalle varie sfumature ideologiche. Nel periodo post-unitario, il Risorgimento democratico, repubblicano e socialista, deve convivere con la costruzione di una patria avvenuta sotto l’insegna della monarchia, non senza ambiguità, compromessi, scontri. Ritrovare spazi idonei per proporre rivisitazioni da prospettive diverse costituiva una opportunità a fronte degli evidenti tentativi di “omogeneizzazione” in corso. Il caso più significativo in tal senso era accaduto appena dopo la scomparsa di Mazzini. Morto sotto falso nome, esule in una patria che ancora lo ricercava per condannarlo, il genovese viene subito osannato e venerato non appena esala l’ultimo respiro. Più tardi sarà incorniciato, insieme con Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele II nel quadretto che racchiude il pantheon dei “padri fondatori”. Tutti gli scritti pubblicati negli oltre cento volumi di un’opera omnia poderosa quanto letta solo da specialisti. Nella “Vandea rossa”, tale era considerata la Romagna di fine Ottocento, si declina invece un Risorgimento più sbilanciato “a sinistra”; ma, nel contempo, pure da queste parti, si tenta, da subito, una legittimazione, una sorta di “serrate le fila” e di istituzionalizzazione che verrà accettata da molti, rigettata da altri come una sorta di tradimento. Memoria dei vincitori e memoria dei vinti si fronteggiano e si confondono nell’ufficialità della memorialistica, della simbologia, della forza aggregante delle celebrazioni. La Trafila costituisce un emblema di questo iato tra popolo ed élite, che l’intero percorso risorgimentale non aveva mai pienamente risolto.

Scriverà Alfredo Oriani nel 1889, sui giorni della ritirata di Garibaldi da Roma:

Il popolo non si è mosso e non si muove. I contadini lo guardano passare svelto e superbo per i campi, seguito da soldati che di umano non hanno più che la fatica e il dolore, e abbassano gli occhi colla indifferenza di una ignoranza cui nulla più commuove, di una servitù che da secoli non ha più tentazioni di libertà [Oriani 1912, 82].

A Italia unita i luoghi della memoria servono anche a questo: ricostruire un tessuto civile e sociale smarrito in secoli di servaggio. Se è vero che il Risorgimento, nella penisola, non è mai riuscito a coinvolgere le masse, anche, seppur non solo, per le enormi distanze politiche e ideali che separavano i mattatori, ora, con i protagonisti sepolti, santificati e, dunque, “parificati” l’operazione sembra accessibile. Le istituzioni, come si diceva, approveranno la pubblicazione del “monumento di carta”, rappresentato da tutti gli scritti di Mazzini; promuoveranno l’erezione di statue, spesso rigorosamente equestri, di Garibaldi, Vittorio Emanuele, Anita. Busti di Cavour pullulano, talvolta affiancati a quelli di Mazzini.

I luoghi della Trafila, però, restano situati nella “terra degli uomini rossi”, solcata da fremiti di repubblicani intransigenti, anarchici, socialisti. I 52 cittadini che custodiscono il “sacro capanno” costituiscono una congregazione chiusa, votata a una visione quasi genealogica di quella storia. Si tratta di associazionismo, certo, quindi almeno formalmente lo spirito mazziniano è salvaguardato. Ma si resta su una dimensione privatista, lontana dal senso di comunione e condivisione che il mazzinianesimo imporrebbe: una fratellanza protesa a serbare un segreto o, se si vuole, l’anima “pura” di un evento reale da tramandare, incontaminato, ai posteri. Questa lettura subirà, almeno in Romagna, una prima svolta col nuovo secolo. L’età giolittiana impone una nuova ribalta: le sinistre diventano forze di governo e si contendono piccoli imperi economici e politici, costituiti dalle cooperative, dai sindacati, dalle leghe. Tra divisioni e lacerazioni, anche i luoghi simbolici sono chiamati a svolgere un ruolo più ampio.

Fig. 2. Capanno Garibaldi durante una celebrazione del primo centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi del 1907 [Patuelli e Rossi 2007]
Fig. 2. Capanno Garibaldi durante una celebrazione del primo centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi del 1907 [Patuelli e Rossi 2007]

La visione romantico-crepuscolare di uomini come Primo Uccellini, Corrado Ricci, Aldo Spallicci deve fare i conti con il dinamismo dei fautori del “nuovo che avanza”, attenti alle tecnologie, allo sviluppo dell’industria. Da questo punto di vista la distruzione del capanno nel 1911 a causa di un incendio giunge quasi provvidenziale. Anziché limitarsi al culto di una rovina, Fortunato Buzzi e il mondo repubblicano sostenitore di questo indirizzo, non indifferente a fremiti futuristi, opta per la ricostruzione totale del monumento simbolo. Il luogo, già suggestivo, può, ora, diventare un meta-luogo. Punto ove si possono svolgere i laici riti liturgici di una memoria sempre più lontana, che non evidenzi troppo l’immensa distanza che separa gli eventi della Trafila, i valori repubblicani, dalle necessità contingenti e operative fatte di appalti da conquistare, sindacati da organizzare, cooperative da gestire. In questo modo i condizionamenti istituzionali della monarchia e, più tardi, di una Repubblica che magari non corrisponde a quella vaticinata o idealizzata dai mazziniani puri del Risorgimento, non possono interferire più di tanto: c’è il piano operativo e il piano ideale. Non sono nettamente separati: convivono; ma risultano posti in condizione di non intralciarsi l’uno con l’altro. Neppure durante il fascismo, fatte le debite, eccezioni. Nel ventennio l’attività del sodalizio viene, semplicemente, inglobata nelle manifestazioni di regime, secondo un protocollo nazionale di rilettura del Risorgimento. Restando sul capanno Garibaldi, questa dicotomia sarà totalmente evidente nel secondo dopoguerra: nell’orizzonte del paesaggio di questa affascinante Camargue romagnola si stagliano, adiacenti, i minareti delle industrie che sorgono numerose, imponenti, proprio lì: a fianco delle paludi che salvarono l’eroe, il Deserto rosso descritto nelle scenografie di Michelangelo Antonioni, in un contrasto ove si palesano le pulsioni e le contraddizioni dello sviluppo romagnolo e italiano. Il tragitto, inoltre, include le vie di collegamento tra Porto Corsini, ove attraccano le grandi imbarcazioni da crociera, e la silenziosa Ravenna. Si stratificano, si sovrappongono e si amalgamano tempi della storia diversi ma contigui, come in un surreale groviglio di dimensioni parallele che il turista può ammirare con curiosità, o come una delle tante distrazioni.

4. Un percorso attraverso le lapidi

Se il capanno rappresenta il luogo malioso dello scampo di Garibaldi nel 1849, il monumento col tetto di cannella che si fa testimone, altrettanto suggestivi sono i percorsi dettati dalle epigrafi che costellano la Romagna.

Giuseppe Garibaldi / compiuta la meravigliosa ritirata da Roma a S. Marino / disciolta la Legione in terra libera / con duecento valorosi eludendo il nemico / nella notte del 31 luglio 1849 / rapidamente scese dal Titano all’Adriatico / catturate in Cesenatico tredici barche /fece vela a Venezia cinta d’assedio / Avviluppato dai fuochi della squadra austriaca / trovò scampo presso Comacchio / poi subito nelle spiagge di Ravenna / Ove cercato a morte perseguitato come belva / dalle truppe croate / fruganti nelle valli nei campi nei boschi nelle case / vide morirsi accanto né poté seppellirla / l’eroica compagna Anita / Lui profugo insieme col tenente Battista Leggiero / difesero nascosero guidarono / dalla pineta a Castrocaro generosi romagnoli / Lui accolse e dal 17 al 21 agosto protesse / da Pieve Salutare a Monte Aguto a Monte Trebbio / Anastasio Tassinari con altri dovadolesi / consegnandolo salvo / al sacerdote Giovanni Verità di Modigliana / vero angiolo custode del proscritto [Raffaelli 1986, 199].

La grande lapide di Villa Badia di Dovadola racchiude la sintesi completa della Trafila. Una storia affidata alla pietra nel 1893. Altre iscrizioni, innumerevoli, evocano, o delineano, i passaggi dell’eroe: gli spazi e i tempi. Descrivono le diverse percezioni nei vari passaggi storici, o possono, più semplicemente, essere lette come utopici messaggi in bottiglia, lanciati fra epoche diverse verso destinatari ignoti. Nel contempo si tratta di istantanee: un modo di proporre una storia e di piegarla ad un uso presente. In un groviglio di accostamenti, sedimentazioni, stratificazioni che, come avviene nelle ere geologiche o in certi dipinti, tendono a nascondersi l’una all’altra.

A Comacchio e a Porto Garibaldi le lapidi di fine Ottocento descrivono l’epopea con l’intento di fissare un ricordo che può sbiadire. L’intendimento è di consacrarlo in una dimensione locale, se non localistica:

Il 2 agosto 1849 / sciolta l’armata della Repubblica / il padre l’apostolo l’eroe / di tutti i popoli oppressi / inseguito da austriache navi / si rifugiava nella marina elisea / donde veniva / da cittadini comacchiesi / gloriosamente salvato / alle indomite speranze della patria / nelle nuove battaglie della libertà […].
Qui / Giuseppe Garibaldi / inseguito a morte / approdò / Il II agosto MDCCCXL / fidando bene / nella virtù romagnola [Raffaelli 1986, 79-80].

Municipi, società operaie, leghe promuovono queste iniziative. Si cerca di sollecitare, se non di plasmare, l’immaginario collettivo all’insegna di una socialità da riscoprire e di una libertà da intendersi come continua conquista, attraverso la partecipazione e la democrazia. Compaiono sulla scena i nomi dei salvatori, la commemorazione degli sfortunati compagni di viaggio che verranno presi e uccisi. I fautori di queste iniziative sono reduci e cittadini, tesi a definire la memoria di un Risorgimento “pacificato” ma, nel contempo, capace di imprimere forza alle istanze popolari emergenti. Ma sono coinvolti anche municipi, percorsi da fremiti radicali.

5. La forza pedagogica della Trafila durante il fascismo

Alcuni decenni più tardi, nel 1932, a cinquant’anni dalla scomparsa di Garibaldi, in pieno fascismo, a quelle epigrafi se ne affiancheranno altre: «Queste pietre/ ricordano / che / amore di patria / è dovere / e sacrificio» [Raffaelli 1986, 79-80].

A sancire nuovi tratti pedagogici. I percorsi degli anni precedenti non vengono cancellati, ma, piuttosto, riplasmati su una nuova narrazione. Il martirio di Ugo Bassi può ora cementificare la riconciliazione fra lo Stato e la Chiesa; così come le bizzarrie di don Giovanni Verità, salvatore di Garibaldi nell’ultimo tratto della Trafila romagnola, vengono rivalutate alla luce di un pensiero religioso che, nelle parole di Alfredo Oriani, giunge fino a correggere, o almeno “limare” nei giusti toni il pensiero di Giuseppe Mazzini:

Il solo torto di Mazzini, secondo Don Giovanni, era di avere troppo insistito sulla necessità di un nuovo cristianesimo più morale che dogmatico, senza tradizioni e senza gerarchia. Certo nessuna rivoluzione può prescindere dall’elemento religioso, sotto pene di non essere rivoluzione intiera, ma quel dissidio filosofico con Roma aveva indebolito, disperdendolo in altri campi, lo sforzo rivoluzionario [Oriani 1912, 88].

D’altronde il fascismo aveva individuato proprio nell’autore della Rivolta ideale il suo “precursore” [Baioni 1988]. Una forzatura, secondo diversi studiosi, ma che si inquadra perfettamente nei piani di ri-educazione nazionale che il regime si propone. In questo scenario le celebrazioni militari, laiche e religiose si fondono con le feste nazionali [Ridolfi 2003], tese a definire una nuova, rafforzata, identità patriottarda. Deve per forza cambiare, naturalmente, anche il racconto: prosa e poesia assumono toni aulici; all’aderenza ai fatti viene preferita la liturgia e l’esaltazione retorica. Si deve consolidare l’accadimento attraverso la glorificazione del protagonista; premiare virtù quali coraggio, abnegazione, fedeltà al destino:

Fuggiasco da Roma chiuso per una notte dentro a una capanna, nella pineta di Ravenna, indugiò sulla soglia a guardare la pallida aurora in un cielo di tempesta; egli era solo, famelico, affranto: gran gente intorno lo inseguiva per averlo morto; già poca terra, bagnata dal pianto di quella notte, copriva la sua morta Anita. Si scoloriva il mondo; l’aurora aveva tinte di un bigio tramonto. Ma tuttavia l’Eroe si staccò da quella soglia, e sfrascando fra gli sterpi andò verso il mare e verso il destino [Fanciulli 1941, 332].

Fig. 3. Modigliana: la casa natale di Don Giovanni Verità, ora museo civico. Sulla facciata negli anni Trenta fu collocata un’epigrafe che dava merito a Benito Mussolini del restauro della casa. [Ghirardelli e Mari 2008]
Fig. 3. Modigliana: la casa natale di Don Giovanni Verità, ora museo civico. Sulla facciata negli anni Trenta fu collocata un’epigrafe che dava merito a Benito Mussolini del restauro della casa. [Ghirardelli e Mari 2008]
Si noti che gli austriaci che braccano Garibaldi ora sono «gran gente»: certo, per ingigantire la portata dell’impresa, ma pure perché nel 1941 gli austro-tedeschi sono alleati. L’evento diviene occasione di dannunziana magnificazione del super-eroe, dei suoi tormenti, del suo percorso, quasi nietzschiano, verso il destino. Non serve, dunque, rimuovere le lapidi del passato: basta indurne una rinfrescata lettura con occhi nuovi.

Ma nel medesimo momento storico, oltre frontiera, i fuorusciti rifugiati all’estero per sfuggire alle persecuzioni, offrono una visione con diverse tonalità dello stesso evento:

Garibaldi non è più che un misero fuggiasco, coperto di sangue e di fango, un brandello umano colpito negli affetti più sacri e profondi. Il destino crudele gli impedisce di dare sepoltura alle spoglie della donna che, dalla pampa fino a Roma, è stata per lui come un ardente raggio di sole. Alle Mandriole, vicino a Ravenna, Anita spira nel casolare di un contadino.

E Garibaldi va, perseguitato, estenuato, dominato dalla volontà di sopravvivere alla tragica avventura per non venir meno alla sua missione. E quando è allo stremo delle forze, prossimo a crollare, incontra un umile prete, don Giovanni Verità, che ha nel cuore l’amore di Dio e dell’Italia, che prende il fuorilegge sulle spalle e lo conduce, attraverso la frontiera, in Toscana [Nenni 1982, 52-3].

Pietro Nenni, nel 1930, descrive un uomo lacero, affranto, pronto a ricevere l’aiuto di un prete. Ma il leader del socialismo italiano, già militante nelle file repubblicane, lascia intravvedere una speranza di futuro. Adombra una religiosità laica, sorretta da un’etica aggrappata ad una fede vaga, capace però di aiutare a reggere il peso delle responsabilità, senza rinunciare ai sentimenti e agli affetti. Sarà questo filo rosso a guidare l’interpretazione della Trafila nel secondo dopoguerra. Con sfumature diverse, nella varietà delle credenze politiche che colorano l’arco costituzionale antifascista.

6. Il secondo dopoguerra

«Alzo per un attimo la fronte a cercare qualcosa nel cielo plumbeo di Romagna, oltre il parabrezza pettinato dal tergicristallo al ritmo monocorde della solita nenia metallica» [Balzani 1993]. A gettare le basi di una diversa rilettura di questo brano del Risorgimento romagnolo e italiano, al di là delle parate ufficiali che contrassegnano gli anni del ventennio fascista, contribuiscono circoli di intellettuali, attorno a cui gravitano personaggi come Aldo Spallicci. Le stesse cante di Romagna sembrano voler salvare nella piccola enclave il prototipo di una idea di patria che il fascismo aveva stretto e distorto sotto l’egida di un rigido nazionalismo [Balzani 2001].

Alla fine della Seconda guerra mondiale si riprendono vecchie tradizioni, con rinnovato spirito.

Fig. 4. Una foto d’epoca del monumeto a Garibaldi di Cesenatico, opera di Tullo Golfarelli. Il luogo, come ebbe a cantare Marino Moretti, divenne meta di riferimento per riti laici: «Stamane il funerale / ha fatto il giro intorno a Garibaldi / con le bandiere rosse» [Ghirardelli e Mari 2008]
Fig. 4. Una foto d’epoca del monumeto a Garibaldi di Cesenatico, opera di Tullo Golfarelli. Il luogo, come ebbe a cantare Marino Moretti, divenne meta di riferimento per riti laici: «Stamane il funerale / ha fatto il giro intorno a Garibaldi / con le bandiere rosse» [Ghirardelli e Mari 2008]

La sera del 9 febbraio tremuli lumini ricominciano a segnare il percorso che aveva portato alla fondazione della Repubblica romana, allo scampo di Garibaldi e, soprattutto, alla salvezza di una memoria lontana che non deve andare perduta. Feste, balli, cene patriottiche al cartoccio. Gli antichi riti mazziniani ricompaiono rinvigoriti dalla speranza infusa dalla caduta della monarchia con la scelta repubblicana al referendum del 2 giugno del 1946. La data della Repubblica e la data della morte dell’eroe, unite indissolubilmente [Ridolfi (ed.) 2003].

Le nuove liturgie sono, certo, conservatrici di antichi ricordi, storie remote. Si rinnovano nella ripetizione, quasi “mantrica”, del racconto, nell’evocazione dei protagonisti, nell’erezione di nuove lapidi, negli annulli filatelici.

Fig. 5. I busti di Anita e di Giuseppe Garibaldi, opera dello scultore Giannantonio Bucci, uniti da una lapide centrale dettata da Sauro Mattarelli sono stati posti nel 1999 nella suggestiva cornice del molo di Cesenatico
Fig. 5. I busti di Anita e di Giuseppe Garibaldi, opera dello scultore Giannantonio Bucci, uniti da una lapide centrale dettata da Sauro Mattarelli sono stati posti nel 1999 nella suggestiva cornice del molo di Cesenatico

Ma alle celebrazioni si affiancano le commemorazioni: è un segno di rispetto e di affetto. La scelta di ricordare insieme, non da soli, come modo per far rivivere fatti, uomini, donne, ideali. Non serve più solo l’esaltazione della grandiosità dell’evento o dei prodi primattori; ma si tende a far sorgere un obbligo morale, a evidenziare esempi di probità e, semplicemente, a far rivivere e comprendere gli ideali per i quali i protagonisti della vicenda hanno scelto di dare la vita [Viroli 2002]. In questo modo essi ritornano, popolo fra il popolo, lontani dal populismo. La patria riprende la sua valenza fra le altre patrie, senza pretesa di primati soverchianti o di idee di conquista, all’insegna del rispetto fra le genti.

Ma non è tutto così lineare, nuove velature e nuove epifanie si delineano.

Un giorno di piena estate, un giorno qualunque in un mare di vacanza […] abitato da una moltitudine di brave persone in ferie, placide folle insabbiate, ombrellonate e lettigate: aquiloni a mezz’aria in un cielo chiaro e pastoso come un’orzata, plak plak di bocce che cozzano, fop fop di palle felpate, spruzzi di sabbia fina alzati da squadre di ragazzi caracollanti come puledri lipizziani nell’arena di un circo. E odori di animali marini cotti in piastre, braci e padelle. E, nelle calche ai baretti e nello struscio dei viali, vecchi profumi e deodoranti ascellari alla moda. E poi, nel fioco crepuscolo di questi orizzonti di levante, eccoti un tripudiare di luminarie a festoni e ghirigori, un rimbombare timpani e fanfare di ottoni, un cicaleggiare di popolo in vena di festa. E alla fine, sopra le teste all’insù, i palloncini ormai flosci e i ben ritti pennoni delle antiche barche chioggiotte, il pim pum pam dei fuochi d’artificio. Festa di mezza estate per questa gente che va ripagata del suo disciplinato sciamare dalle foreste nere e dalle grigie fabbriche del Nord a spendere e spandere le gratifiche in questi lidi, ho logicamente pensato. No, mi è stato contestato con garbato puntiglio, questi fuochi sono per il generale, sono per Garibaldi.

E così, nel mezzo dei sudori di un due d’agosto, in un posto di vacanza tra quelli alienatori per antica fama, un paziente signore in braghette color canarino mi ha raccontato la storia che qui chiamano della Trafila. La più bella e tragica e romantica e istruttiva e commovente storia sul generale e la sua Umanità. E quello che era stato per me una riga sul libro di storia di scuola, si è fatta voce di epopea, canto di ubertosa leggenda [Maggiani 2011, 63].

La festa descritta da Maurizio Maggiani si svolge ai primi di agosto a Cesenatico. Vi assistono frotte di turisti provenienti da tutto il mondo. Molti di loro non conoscono affatto la storia della Repubblica romana del 1849; di Garibaldi hanno conoscenza vaga. Ma nuovi percorsi e nuovi legami sono ormai tracciati e si fondono con le regole del turismo di massa, del marketing, del mordi e fuggi, dell’usa e getta, nell’era del consumismo sfrenato. L’eroe campeggia come marchio di vini. Qualcuno lo affianca, fino a confonderlo, con Che Guevara. I punti della Trafila sono itinerari per vacanzieri, veri o potenziali, costellati da buone osterie [Caramalli 2006]. Dalle valli, alle colline, fino al mare. Certo, aleggia il rischio di una nuova dimenticanza, più pericolosa; un ulteriore strato limaccioso che obnubili i preesistenti con una sorta di equiparazione indistinta; un miscuglio ove gli ideali dei vinti formano, di nuovo, un tutt’uno con gli ideali dei vincitori. La storia che diventa strumento di propaganda politica, spot, messaggio pubblicitario, o mezzo per imporre prodotti turistici stenta a differenziare un Garibaldi da un Mussolini e può finire per sovrapporre Predappio a Caprera in un limbo confuso e sfuocato. Esercizio arduo ritrovare le tracce di un passato glorioso che funga da guida per una pedagogia civile in simili scenari. La formazione identitaria nella società di massa globalizzata avviene in modo disarticolato attraverso lapidari, quanto evanescenti, messaggi “social” latori di solitudini abissali.


Bibliografia

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    Pensiero e Azione. Storia di un concetto attraverso epigrafi, personaggi e ideali, Ravenna: Longo
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    Glorie d’Italia, Torino: Società Editrice Internazionale
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    Viaggio fotografico nelle epigrafi della trafila garibaldina, Ravenna: Cooperativa Pensiero e Azione – Società Conservatrice Capanno Garibaldi
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    Forlì: Grafiche Emmediemme
  • La Romagna e Garibaldi 1982
    Ravenna: Longo
  • Maggiani M. 2011
    Quello che ancora vive. Il salvamento del generale Garibaldi nelle terre di Romagna, Bologna: Coop Editrice Consumatori
  • Mattarelli S. e Foschini C. (eds.) 2002
    Memoria e attualità dell’epopea garibaldina, Ravenna: Longo
  • Mengozzi D. 2008
    Garibaldi taumaturgo. Reliquie laiche e politica nell’Ottocento, Manduria: Piero Lacaita Editore
  • Nenni P. 1982
    Garibaldi, Milano: SugarCo Edizioni (ed. or. 1930)
  • Noi vogliam che ricchi e poveri. Canzoni politiche sociali dal Risorgimento alla Resistenza 1978
    Ravenna: Edizioni del Girasole
  • Oriani A. 1912
    Fino a Dogali, Bologna: Libreria Editrice Augusto Gherardi
  • Oriani A. 1956
    La lotta politica in Italia, Rocca San Casciano: Cappelli Editore (ed. or. 1892)
  • Oriani A. 1999
    Don Giovanni Verità e altri scritti sul 1848-49, a cura di Dirani E., Ravenna: Longo
  • Patuelli A. e Rossi B. 2007
    Percorsi risorgimentali ravennati, Ravenna: Longo
  • Raffaelli A. 1986
    L’Unità d’Italia nelle epigrafi di Romagna, Forlì: Coop. Industrie grafiche di Forlì
  • Ridolfi M. 1988
    Dalla setta al partito. Il «caso» dei repubblicani cesenati dagli anni risorgimentali alla crisi di fine secolo, Rimini: Maggioli
  • Ridolfi M. 2003
    Le feste nazionali, Bologna: il Mulino
  • Ridolfi M. (ed.) 2003
    Almanacco della Repubblica. Storia dell’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane, Milano: Bruno Mondadori
  • Riall L. 2007
    Garibaldi. L’invenzione di un eroe, Roma-Bari: Laterza
  • Turchini A. (ed.) 2015
    Dalla Romagna alle Romagne, 1815-1860. Le quattro Legazioni di Romagna e i loro archivi fra Restaurazione e Risorgimento. Atti del convegno internazionale Ravenna 2011 per il 150° dell’unità d’Italia, Cesena: Società Editrice «Il Ponte Vecchio»
  • Uccellini P. 1898
    Memorie di un vecchio carbonaro ravegnano, a cura di Casini T., Roma: Società Editrice Dante Alighieri
  • Viroli M. 2002
    La Repubblica Romana, in Mattarelli S. e Foschini C. (eds.) Memoria e attualità dell’epopea garibaldina, Ravenna: Longo
  • Vittonatto G. 2005
    Il capanno di Garibaldi. Culto del Risorgimento, memoria locale e cultura politica a Ravenna, Ravenna: Longo
  • White Mario J. 1986
    Vita di Garibaldi, Pordenone: Edizioni Studio Tesi (ed. or. 1882)