L'Emilia-Romagna alla vigilia della Grande Guerra: ferrovie e comunicazioni (scarica mappa in versione PDF)
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Premessa

Il 24 maggio1915 l’Italia dichiarava guerra all’Austria-Ungheria, ma già da dieci mesi si combatteva sugli altri fronti del vecchio continente. Fu il “principio di una fine” che sconvolse i destini di molti popoli e che modificò i confini di molti stati. Tali eventi avrebbero avuto delle ripercussioni non indifferenti sul progresso degli anni a venire. Anche l’organizzazione dei trasporti, dalla costruzione di infrastrutture alla produzione industriale, non rimase esente dalle conseguenze degli eventi bellici. Ma le radici di tali stravolgimenti partivano da più lontano. In Italia, era stata infatti la Seconda guerra d’indipendenza a evidenziare per la prima volta la grande importanza delle infrastrutture ferroviarie [Cornolò 2000, 26]. In quella guerra le truppe (sia da una parte che dall’altra) furono velocemente trasportate verso i campi di battaglia proprio grazie alle linee ferroviarie che in quegli anni stavano vivendo un periodo di grande sviluppo. La successiva progettazione della rete di comunicazioni, soprattutto ferroviarie, non fu quindi solo uno sviluppo dettato da esigenze di carattere commerciale o geografico. Le ragioni di ordine militare finirono spesso per essere decisive, influenzando le decisioni politiche per obiettivi considerati strategici.

Da una prima analisi, quindi, è evidente come i trasporti abbiano sempre avuto un rilievo militare, rappresentando per i vari governi un settore indubbiamente fondamentale. Come scrive Stefano Maggi [2005, 220], l’influenza nei trasporti venne determinata dalle necessità militari più di quanto si possa generalmente ritenere. I conflitti, anche in forza dei maggiori investimenti confluiti nel settore dei trasporti, finirono paradossalmente per avviare delle fasi non solo negative, potenziando tutto il sistema a beneficio del comparto. E fu proprio la Prima guerra mondiale a evidenziare, anche in Emilia Romagna, questi nuovi processi. Ne è un esempio la grande potenzialità che già in quel conflitto lasciava intravedere la guerra aerea, la quale, aldilà dell’immediata risonanza data ai sui miti e ai suoi eroi (vedi l’“asso di guerra” Francesco Baracca, nativo di Lugo), fu anche elemento capace di catalizzare, negli anni subito a venire, la creazione di nuovi aeroporti nella regione. Aeroporti che, nati appunto da esigenze di carattere militare, furono poi per essere convertiti anche a uso civile (in particolare Rimini e Forlì). A causa della vicinanza o meno ai fronti di guerra, gli influssi e le conseguenze ebbero però effetti diversi nei vari territori italiani più o meno direttamente coinvolti.

1. La logistica di guerra in Emilia Romagna

Alla vigilia dell’entrata in guerra cominciarono a essere istituiti i vari organi deputati al funzionamento della macchina bellica e molti di questi furono a carattere logistico [1]. Tali uffici furono pensati come dei veri e propri ingranaggi destinati a “girare” a stretto contatto l’uno con l’altro. Molto, nelle sorti della guerra, venne determinato dalla perfetta collaborazione fra tutti questi organi. Non solo, ma la dislocazione di essi nelle varie regioni, in particolare del nord Italia, avrà ripercussioni non indifferenti su tutto il sistema dei trasporti.

Ancora prima dell’entrata in guerra furono organizzati un deposito centrale e dei magazzini viveri nei pressi di Bologna. Nel 1915 fu costituito un distaccamento per la fornitura di benzina a Fiorenzuola d’Arda. L’organizzazione per la fabbricazione e la distribuzione dei vari materiali necessari assunse via via proporzioni notevoli e fu presente a tutti i livelli. Importantissimo fu poi il potenziamento in regione del settore sanitario. Fra il 1915 ed il 1918 il laboratorio farmaceutico militare di Bologna produsse, ad esempio, 1.112.000 fiale di siero antitetanico. Per tutta la durata dell’evento bellico, Bologna fu il centro principale di concentramento e smistamento della posta militare. Nei quattro anni di guerra vennero ampliati gli opifici militari di Borgo Panigale e di Modena. Dopo la disfatta di Caporetto e il conseguente arretramento del fronte, anche le retrovie subirono uno spostamento verso il sud del paese. È il caso dell’Intendenza generale che, nel novembre del 1917, venne portata da Treviso a Bologna. Sono esempi diversi ma ugualmente significativi di come l’Emilia Romagna si trasformò in un centro di importanza strategica per il Regio esercito.

2. Le infrastrutture ferroviarie

Agli inizi del ’900 la rete nazionale era stata in gran parte delineata e si trattava solo di completare qualche tratto mancante, come ad esempio la linea ferroviaria Bologna-Verona [2]. Il periodo 1910-1920 vide la realizzazione o il completamento, in regione, di varie linee ferroviarie, ma si trattava di opere che, come concepimento, solo relativamente avevano fini militari [3]. La centralità della regione aveva già fornito quelle necessarie garanzie per la realizzazione di una sufficiente rete locale e nazionale che individuava Bologna come fondamentale nodo di cerniera fra i vari punti cardinali del paese. Per quanto riguardava l’Emilia Romagna, ci si era preoccupati di fornire quel ventaglio di percorsi alternativi in modo tale che i convogli potessero arrivare comunque a destinazione anche in caso di attacco a una parte del territorio [4]. Oppure si era trattato di costruire opere atte a prevenire intasamenti dovuti all’inevitabile accumulo di convogli ferroviari destinati alle zone di guerra. Ad esempio, il breve allacciamento tra la stazione di Borgo Panigale, sulla linea per Pistoia, e il bivio Lavino, sulla linea per Milano, entrato in funzione il 10 luglio 1899, rappresentava proprio una soluzione per alleggerire il nodo di Bologna in caso di movimentazione di truppe e materiali e per questo era stato fortemente voluto dal Ministero della Guerra [Panconesi 2002, 19].

Così in Regione, dopo l’inizio delle ostilità nel 1915, si trattò solo di intervenire in opere specificatamente mirate e comunque di portata prettamente locale. Nel 1914, giusto in tempo per gli eventi bellici, anche la già citata linea Bologna-Verona era stata di fatto completata, pur mancando il tratto finale verso la città scaligera. Infatti Verona fu raggiunta attraverso Dossobuono sulla linea proveniente da Rovigo e sulla Modena-Verona [Casini e Montella 2013, 55] (vedi la mappa). La tratta avrebbe così dimostrato appieno la propria importanza strategica in vista della linea del fronte che da lì a poco sarebbe stata poi approntata. La Bologna-Verona sarebbe stata completata solamente nel 1924 [5]. Ancor prima, il 25 novembre 1913, la Pontremolese Parma-La Spezia fu dotata della bretella Fidenza-Fornovo di 26 km e il 15 settembre 1914, nella lunga galleria di Borgallo sulla stessa linea verso la Toscana e la Liguria, fu messo in esercizio il secondo binario [Betti Carboncini 1994, 146-51], in vista delle imminenti operazioni belliche che avrebbero comportato la necessità di continui rifornimenti dal grande arsenale e dal porto di La Spezia (città posta in posizione più tranquilla rispetto alle rispettive basi dell’Adriatico come quella di Porto Corsini a Ravenna [6]).

Nel 1912 fu iniziata la ferrovia Russi-Faenza che, con la diramazione Lugo-Granarolo Faentino (concepita prevalentemente per fini militari), aveva lo scopo di costituire un via alternativa, sull’asse Firenze-Faenza-Ferrara, alle linee Adriatica e Porrettana.

Sul campo degli interventi locali, nel 1913-14 fu realizzato un prolungamento della rete tranviaria modenese, sulla via Giardini, fino a Saliceta San Giuliano, che serviva l’opificio militare. Il 1916 vide un’ulteriore apertura di un tronco di binari verso il cimitero di San Cataldo, che proprio in quell’anno venne ampliato, anche per accogliere le salme dei tanti caduti sul fronte [Bedoni 2003, 12]. Nello stesso anno fu inaugurata inoltre la Decima-Modena, che si univa alla Ferrara-Decima e Decima-San Giovanni in Persiceto (aperte nel 1911), subito requisita dai comandi militari [Panconesi s.d., 17].

Nel grande marasma generale del periodo occorre registrare che qualche intervento dovette “segnare il passo”: le discussioni sulla trasformazione dello scartamento delle linee locali modenesi, infatti, subirono una battuta d'arresto [Cerioli, Della Bona e Fantini 1994]. Pure una grande opera come la “Direttissima degli Appennini”, iniziata nel 1913, dovette subire una pausa nei lavori di realizzazione a causa degli eventi bellici, mentre la ferrovia Fabriano-Urbino-Sant’Arcangelo di Romagna non arrivò in tempo per essere completata, nella sua parte finale, sebbene gli scopi militari fossero stati prevalenti e determinanti nell’approvazione del progetto. Tale linea correva all’interno e sarebbe stata una valida alternativa all’Adriatica in caso di attacco da parte di navi nemiche (cosa che poi peraltro avvenne, nel 1915, proprio all’inizio delle ostilità). Il tratto finale rimasto in sospeso non fu comunque mai portato a termine [Orazi 2005].

3. Le infrastrutture stradali

Dalla costituzione del Regno e fino all’entrata in guerra dell’Italia, nonostante l’impegno dei governi, la situazione delle comunicazioni stradali nel paese rimase alquanto deficitaria rispetto alle esigenze. In un resoconto del 1904 risulta infatti che, rispetto ai 30 anni precedenti, solo le strade provinciali avevano ricevuto un significativo aumento (arrivando a un totale di circa 44.000 km nel 1904), mentre segnavano praticamente il passo le nazionali (circa 7.000 km) e le comunali (circa 88.000 km). La questione di una rete stradale efficente appariva quindi, alla vigilia della Prima guerra mondiale, ancora largamente irrisolta [Tremelloni 1962, 6]. Le guerre, sempre più giocate sul rapido movimento dovuto alle innovazioni introdotte dai mezzi a motore, evidenziavano palesi lacune nelle infrastrutture stradali.

Successivamente al 1910, iniziarono a manifestarsi una serie di eventi in rapida successione che non consentirono una tranquilla pianificazione degli interventi su larga scala. Prima nel 1912 con la guerra di Libia, e poi nel 1915 col conflitto mondiale, si assistette all’assorbimento di risorse per questi obiettivi. Nelle zone teatro di guerra vennero realizzate nuove strade a carattere militare che spesso nel periodo successivo furono riconvertite ai servizi civili. A causa del periodo d’emergenza vennero licenziati una serie di decreti a beneficio dei territori in stato di guerra. Di contro tutto il patrimonio stradale, compreso quello in zone più distanti dal fronte, venne messo a dura prova.

È il caso dell’Emilia dove le strade non goderono di un significativo incremento, ma anzi patirono nella manutenzione a causa del consistente movimento di mezzi verso le attività di prima linea. Infatti, sebbene all’apparenza si fosse lontano dai fatti di guerra (il fronte era ancora piuttosto distante), varie località videro assumere a un certo punto un importante ruolo di retrovia. Con la disfatta di Caporetto, e il conseguente arretramento del fronte sul Piave, i militari disorganizzati e senza più un reparto, furono riorganizzati in vari centri appositamente creati. A Castelfranco Emilia, ad esempio, fu costituito quello di fanteria, il più grande d'Italia [Carrattieri e Montella 2008], ma anche nel reggiano si registrò lo stanziamento di un corpo d’armata (fra Guastalla, Novellara e Bagnolo) e di centri di concentramento di prigionieri (Correggio e Scandiano) [Borini 1919, 7]. A Sassuolo fu dislocata, proveniente da Susegana, la scuola militare dei bombardieri (con 30.000 uomini e molte centinaia di carri) [Borini 1919, 6]. Ovunque furono create sezioni di ospedali militari [Montella, Paolella e Ratti 2010]. Furono spesso impiantati grossi depositi di munizioni o centri di addestramento ai vari livelli. Le cifre sono impressionanti e fanno ben comprendere l’elevato movimento di mezzi e uomini. Successivamente alla fine del conflitto, alcuni di questi centri furono riconvertiti per ospitare gli ex prigionieri italiani in Austria, in attesa di far rientro nelle proprie case [Montella 2008].

L’intenso movimento di mezzi pesanti, atti al trasporto di truppe e materiali da guerra, causò grosse problematiche al piano viabile e non solo. Tuttavia, in questo periodo, la via Emilia fra Rimini e Piacenza vide completare, fra le prime in Italia, un programma di catramatura del piano viabile. In particolare la tratta Bologna-Modena fu la prima a essere realizzata per intero, grazie anche a una sovraproduzione di catrame proveniente dalle officine del gas per l’illuminazione pubblica (il catrame ne è infatti uno scarto di lavorazione dovuto alla distillazione del carbon fossile).

Con la fine delle ostilità, inoltre, il Regno d’Italia acquisiva la Venezia Tridentina e la Venezia Giulia, accrescendo significativamente il patrimonio stradale da gestire. Quest’ultimo, assieme a quello già gestito nei territori di retrovia, si trovava appunto in pessime condizioni soprattutto a causa degli eventi di guerra. Con decreto n.2506 del 15 novembre 1923 si provò a rimediare alla non felice situazione generale, suddividendo le strade in 5 categorie. Sulla base dell’importanza delle infrastruttura, più enti potevano partecipare alla loro manutenzione.

Ancora alla fine degli anni Venti, sulla quasi totalità delle strade statali permaneva una pavimentazione di tipo macadam [7], che associata alla circolazione veicolare dei mezzi motorizzati comportava un fenomeno di rapida usura del piano viabile. Infatti, a differenza dei carri trainati da animali (che segnano la piattaforma stradale con le classiche ormaie longitudinali), le ruote gommate dei nuovi mezzi, scorrendo a maggior velocità, determinano l’asportazione della ghiaia e usurano la strada provocando buche dannose sia alla circolazione che al comfort.

4. L’industria e i mezzi

Alla vigilia delle ostilità il paese era in una fase di ristagno dell’attività produttiva, aggravato dalla guerra di Libia [Magnanini 1985, 61]. Anche per questo motivo erano aumentate le migrazioni verso il continente americano. Tuttavia l’Italia si trovò, alla fine del conflitto, avviata in un processo di rafforzamento che vedeva la grande industria acquisire posizioni di rilievo nel panorama nazionale. Ad esempio, con la Prima guerra mondiale cominciarono a essere operate, in modo consistente, delle commesse anche all’industria privata italiana per quanto riguardava la fornitura di artiglieria pesante [Botti 1991, 633]. A beneficiarne a vario titolo furono, a livello nazionale, le grandi imprese del settore meccanico e siderurgico come la Fiat e l’Ansaldo. Le commesse per l’industria automobilistica si spinsero ai massimi livelli, tanto da comportare anche una quota di esportazione di veicoli verso l’estero [Botti 1991, 825]. La macchina da guerra, durante il conflitto 1915-18, pretese una grande produzione votata alla costruzione di mezzi militari ed esplosivi [8]. Varie furono le industrie che si convertirono a tali produzioni cogliendo l’occasione per uno straordinario. Certo gli eventi bellici fermarono per alcuni anni la produzione in taluni settori industriali, ma ciò non rappresentò un rallentamento delle attività legate agli studi di progettazione, semmai spostò l’interesse da una catena di produzione a un’altra.

A beneficiarne furono per lo più le industrie di produzione automobilistica in quanto la Prima guerra mondiale costituì il terreno su cui collaudare e testare il nuovo mezzo di trasporto su gomma e le conseguenze non tardarono a manifestarsi. Rispetto le zone direttamente coinvolte dallo stato di guerra, che beneficiarono maggiormente nella costruzione di opere infrastrutturali (strade e ferrovie), in Emilia i riflessi della guerra si manifestarono direttamente nei comparti produttivi delle costruzioni meccaniche e nel relativo indotto. Di aiuto fu la presenza a Bologna della Direzione militare del deposito centrale automobilistico e dell’impianto di un laboratorio per la riparazione nella stessa città felsinea [Botti 1991, 830]. L’immediata posizione di retrovia di questo territorio finì per risultare una posizione privilegiata su cui fondare o riconvertire un’attività industriale per la produzione di munizioni e materiali da guerra. La relativa tranquillità e la facilità di raggiungimento delle zone del fronte funzionarono da catalizzatori per tale evoluzione. Fu il caso delle Officine reggiane, che subirono una riconversione verso la produzione bellica e verso la fine della guerra assorbirono il proiettificio modenese [Magnanini 1985, 75].

In questo contesto si affinarono le competenze meccaniche acquisite, e nell’immediato dopoguerra nacquero o si potenziarono quelle che divennero le grandi carrozzerie industriali, case automobilistiche o di costruzioni ferroviarie, come appunto le Officine reggiane. Queste esperienze rappresentarono le radici del futuro distretto meccanico che nei decenni successivi avrebbe fatto la fortuna dell’Emilia. Fra i primi mezzi militari ad essere trasformati si possono ricordare gli autocarri Fiat 18 B [9].

5. Le imprese ferroviarie

Con l’entrata in guerra, nell’Italia del nord la circolazione dovette adeguarsi alla situazione e alle aumentate esigenze belliche. In questo contesto furono in particolare le relazioni civili e commerciali di lunga percorrenza a essere sacrificate. Il traffico civile venne subordinato a quello militare. Dappertutto furono adottati provvedimenti come la limitazione delle corse e l’oscuramento dei mezzi durante le ore notturne.

Nel territorio regionale, la Prima guerra mondiale non portò particolare stravolgimenti alle strutture, se si eccettua qualche estensione delle linee tramviarie ed elettriche, come a Modena, necessarie per migliorare il collegamento con gli opifici convertiti alla produzione bellica o per rendere più agevole il trasporto dei feriti e degli ammalati nei vari ospedali. Il risultato, a Modena, fu che il bilancio delle Aziende elettriche municipalizzate, in grande difficoltà nel 1915, registrò una costante crescita degli utili nel triennio successivo, grazie all’intensificazione dei trasporti e all’aumento del 50% delle tariffe. In virtù di questi risultati, nel giugno del 1917, furono ordinati due nuovi locomotori, che entrarono in funzione l’anno seguente. A ben vedere (e in maniera paradossale) il servizio tramviario non sarebbe più andato così bene, in termini finanziari, come durante la Grande guerra [Casini e Montella 2013, 82]. Di contro, per quanto concerneva la rete locale extraurbana, la direzione delle ferrovie reggiane lamentò un calo degli introiti dovuto a un aumento dei costi di gestione (combustibile e manutenzione dei mezzi), nonostante l’incremento dei passeggeri.

Per la sua posizione strategica e per la presenza di una diffusa rete ferroviaria, la regione divenne un’importante retrovia del fronte. Per questo si registrò un considerevole aumento di traffico, a causa dell’elevato movimento di truppe e materiale. Familiare divenne la presenza dei treni-ospedale, altri simboli di una guerra tutta giocata sull’efficienza e sulla capacità di mobilitare risorse in tempi rapidi [Montella, Paolella e Ratti 2010]. Come conseguenza diminuì il movimento di passeggeri civili sulle linee della rete nazionale. La fine della guerra, peraltro, non sortì immediati effetti positivi a causa delle difficoltà dovute ai postumi del conflitto: per esempio, il gestore della tramvia a cavalli, che esercitava il collegamento fra il centro di Mirandola (Mo) e la stazione ferroviaria sulla linea nazionale Bologna-Verona e che dipendeva esclusivamente dal movimento passeggeri di questa ultima, fu, nel 1919, sull’orlo del fallimento a causa del crollo dei viaggiatori. Fu solo grazie a un provvido intervento comunale che l’impresa non fallì [Casini e Montella 2013, 82].

Tre anni e mezzo di guerra, con i suoi lutti, i drammi e le enormi difficoltà imposte alla popolazione civile, lasciarono prostrate le varie province. Già nel 1917, in uno studio della Camera di commercio di Modena sulle conseguenze del conflitto, si poteva leggere che «la cessazione delle ostilità non segnerà il ritorno della economia al suo naturale assetto»; troppi erano stati gli stravolgimenti. Le ferrovie erano state sottratte «in gran parte al servizio del commercio, delle libere industrie e dei viaggiatori», creando disagi che la Camera di commercio aveva cercato di attenuare - come si legge in un altro studio del 1921 - «sollecitando provvedimenti che, senza ledere gl’interessi del paese, si ritenevano attuabili, richiedendo mezzi di trasporto a favore di ditte che approvvigionavano la popolazione o che concorrevano a mantenere elevata la produzione agricola o industriale all’interno, o che fornivano lavoro a buon numero di operai». Uno dei problemi più gravi era stato quello della mancanza di carri ferroviari, utilizzato dai vari ministeri a fini bellici:

Non passava giorno che alla Camera non fossero mosse lagnanze e raccomandazioni, sia da agricoltori per avere le materie prime necessarie per la coltivazione della terra e all’alimentazione del bestiame, sia da industriali per ricevere le materie prime indispensabili alla continuazione del lavoro negli stabilimenti, sia da commercianti per provvedere le merci e i generi necessari alla popolazione. [cit. in Casini e Montella 2013, 83]

In quella drammatiche circostanze l’ente camerale svolse un importante ruolo di mediazione: da un lato sollecitò le autorità affinché prendessero provvedimenti utili contro i disagi degli imprenditori, dall’altro fece opera di persuasione per attenuare le proteste di questi ultimi.

Si segnala inoltre come il conflitto fu determinante per l’odierna sede del Reggimento ferrovieri che vide, proprio nei momenti successivi alla disfatta di Caporetto, distaccare una compagnia (l’VIII) a Castel Maggiore (Bo), col compito di mettere in opera un fascio di binari a servizio di truppe inglesi lì confluite. Inoltre la compagnia ebbe il compito di costruire un fascio di binari nei pressi della stazione di Modena riservati all’Intendenza generale del Comando Supremo [Pietrangeli 2013].

6. Le imprese di autotrasporto

L’alba del nuovo secolo assisteva alla nascita e allo sviluppo del nuovo mezzo a motore (l’automobile e il motociclo), ma vedeva anche un significativo aumento dei carri a trazione animale, nonché un aumento nell’uso della bicicletta. Anche il reddito nazionale stava crescendo e il tutto si rifletteva in un aumento dei commerci in un vortice dove l’uno trainava l’altro e viceversa. Aumentava consistentemente un fenomeno fino ad allora sconosciuto alla maggior parte della popolazione: il turismo “fuori porta”. Fin verso il 1920 il traffico stradale italiano era ancora prevalentemente formato da veicoli a trazione animale, biciclette e pedoni, mentre i servizi automobilistici erano per lo più sporadici a causa dell’inaffidabilità del nuovo mezzo e di infrastrutture carenti.

Gli eventi della Prima guerra mondiale ebbero ripercussioni non indifferenti su tutta l’organizzazione che andava delineandosi. Una prima ordinanza ministeriale (26 giugno 1915) dispose infatti che i mezzi ritenuti idonei al movimento di materiale e truppe fosse requisito. A tale scopo fu ordinato alle imprese di autotrasporto di portare i mezzi davanti a un’apposita commissione militare provinciale, che doveva decidere quali di questi andavano requisiti. Per il mondo dell’autotrasporto non tutto fu però negativo, almeno sotto certi aspetti. Poco dopo infatti, un ulteriore decreto ministeriale del 30 giugno 1915 consentiva agli autisti di linee automobilistiche regolari e definitive di chiedere l’esonero dalla chiamata alle armi, per motivi di pubblica utilità.

Alla fine degli anni Dieci e all’inizio del decennio successivo, molti autocarri furono la base di partenza su cui fondare un’impresa di autotrasporto e su cui riconvertire e progettare anche i mezzi destinati ai servizi passeggeri. Sotto l’impulso delle innovazioni introdotte nella costruzione dei mezzi motorizzati (“testati” nei campi di battaglia), le neonate imprese di automobili cominciavano a rompere in modo concreto il monopolio detenuto fino allora dal treno e dalle carrozze o calessi [Casini 2013]. Uno sviluppo tecnologico che sarebbe comunque arrivato, ma che le esigenze belliche contribuirono ad accelerare [Maggi 2003, 220]. Per quanto riguarda i servizi passeggeri, si trattava comunque ancora di servizi provvisori, spesso sperimentali e di durata limitata, che in genere erano garantiti solo in alcune giornate (ad esempio quelle di mercato). Fu in questo periodo che tuttavia si assistette a un primo grande fiorire di imprese di autotrasporto di linea. Nel corso del dopoguerra, le autolinee conobbero un rapido incremento in Emilia Romagna, grazie anche alla grande disponibilità di telai di camion, residuati dalla guerra 1915-18, trasformati in autobus.

7. Conclusioni

Sebbene l’Emilia Romagna sia stato un territorio poco coinvolto direttamente dalle operazioni di guerra (la costiera romagnola subì comunque qualche bombardamento da parte di aerei e navi nemiche), il coinvolgimento della regione nelle vicende belliche fu enorme. Durante il conflitto, l’importante ruolo di retrovia finì per influenzare maggiormente i vari settori industriali rispetto a quelli infrastrutturali; anzi, nello sviluppo di questi ultimi si dovette registrare un rallentamento, se non un blocco, di opere già avviate. Tuttavia, con la fine della guerra, emersero le peculiarità geografiche di questa regione. La sua centralità nella rete nazionale delle comunicazioni, la sua posizione né troppo vicino ma neppure troppo distante dai confini nazionali, aggiunte all’esperienza maturata durante le operazioni di mobilitazione e di logistica della Grande guerra, finirono per influenzare le decisioni in tutti i settori, non solo militari, e per elevare il grado di importanza della regione in seno alle comunicazioni [10]. In particolare il nodo di Bologna visse negli anni successivi un periodo di grande sviluppo che culminò nella realizzazione delle grandi opere della cintura ferroviaria (anche annesse, a onor del vero, alla realizzazione della Direttissima degli Appennini) [Pocaterra 2009]. Quella dettata dalle esigenze militari fu un’influenza spesso “silenziosa” e poco conclamata, ma che certamente pesò negli anni successivi alla fine delle ostilità più di quanto non fosse avvenuto in precedenza.


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Risorse on line

Comune di Poggio Renatico (Fe) - Campo di aviazione G. Veronesi
http://www.comune.poggiorenatico.fe.it/index.php?pg=107
Museo memoriale della libertà - Bologna
www.museomemoriale.com
Mappe dei campi di battaglia della Prima guerra mondiale
www.mptopt.com/mappe-prima-guerra-mondiale.htm
Associazione “Il lavoro culturale” - Le Officine meccaniche reggiane
www.lavoroculturale.org/reggiane/

Note

1. A tal proposito vedi i R.D. 26 giugno 1915, n.993, e il D.L. 22 agosto 1915, n.1277.

2. In merito alla rete nazionale, è utile ricordare che mancavano ancora, sebbene già formalmente abbozzate o iniziate, le linee definite “Direttissime”, fra le quali la famosa “Direttissima degli Appennini” Bologna-Prato, completata nel 1934, ma progettata e iniziata nel periodo precedente la Prima guerra mondiale. Tali linee non erano destinate a coprire zone del paese rimaste prive di infrastrutture ferroviarie, ma si trattava di veri e propri raddoppi a collegamenti già esistenti. Tali opere avevano l’obiettivo di dare priorità alle percorrenze nazionali. Per questi motivi le linee dovevano avere particolari requisiti di progettazione (es. adeguati raggi di curvatura, ecc.).

3. Come opere dovute alle esigenze belliche, si contemplano anche i lavori di ampliamento o allungamento di fasci di binari che furono effettuati in alcune stazioni, fra cui quella di Modena.

4. In Regione il ventaglio dei percorsi per il sud del paese era rappresentato dall'Adriatica e dalle linee di valico appenninico “Pontremolese”, “Porrettana” e “Faentina” (vedi la mappa). Per quanto riguarda quest’ultima linea, è utile osservare come alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale essa fu dotata (30 marzo 1913) di una variante in territorio toscano fra Borgo San Lorenzo e Pontassieve che doveva servire anche come alleggerimento della tratta Firenze-Bologna [Panconesi 2002, 14].

5. In merito alla linea ferroviaria Bologna-Verona occorre segnalare che il generale Cadorna, alla vigilia della guerra, aveva parecchio perorato la realizzazione di una linea che da Ostiglia (sulla Bologna-Verona, appunto) avesse raggiunto Treviso (vedi la mappa). Tale opera fu realizzata per intero parecchi anni dopo la fine delle ostilità [Botti 1991, 664; Chiericato e Santinello 2008, 73].

6. Sull’Adriatica, nel tratto della costa romagnola, operarono anche i famosi treni armati della Marina [Pietrangeli 2013].

7. Il macadam, dal nome dell'ingegnere scozzese John Loudon McAdam che per primo adottò tale tipo di pavimentazione, è ghiaia compattata con detriti dello stesso materiale (di solito bitume o catrame).

8. Anche l’apparato produttivo delle ferrovie fu coinvolto in queste oparazioni: le officine di Rimini furono infatti anch’esse convertite alla produzione bellica [Pietrangeli 2013, 9].

9. L’autocarro Fiat 18 BL cominciò a essere prodotto con l’inizio della Grande guerra e apportò un contributo fondamentale per il raggiungimento della vittoria finale. Il mezzo era atto al trasporto di materiali pesanti.

10. Nonostante la “strategica” posizione geografica della regione, la centralità del suo ruolo non fu sempre scontata. Basti pensare che all’atto della costituzione delle Ferrovie dello stato, nel 1905, Bologna non fu assunta come sede di un compartimento ferroviario, funzione che ricoprì solamente dal 1913.