1. La storia da vicino

Oggi, alle soglie degli anni Venti del nuovo secolo, si riconoscono nella situazione del paese analogie con il Novecento. Ci si domanda come sia possibile che la storia non insegni nulla di fronte al ripetersi di determinati avvenimenti già vissuti. Ricordiamo spesso che la Seconda guerra mondiale ha causato circa 60 milioni di morti, ormai però questa cifra altissima sembra essere solo un numero. Dopo quasi 75 anni dalla fine della guerra, analizzando la storia a distanza, possiamo dire che il fascismo perse, ma non perché l’antifascismo vinse.

Abbiamo affrontato queste e altre domande durante la settimana dal 13 al 20 luglio 2019 nella quinta edizione del Campo giovani organizzato dalla Fondazione Fossoli di Carpi durante la quale, abbiamo visitato e lavorato sui luoghi di Carpi e Fossoli, il campo, il poligono di tiro di Cibeno, la città di Carpi, il Museo Monumento al deportato; ci siamo recati a Monte Sole per visita e workshop con gli operatori della Scuola di pace e a Montefiorino per visitare il Museo della Repubblica di Montefiorino e della Resistenza italiana e per un trekking sui sentieri partigiani; abbiamo conosciuto rappresentanti e operatori di Casa Cervi, Villa Emma, della Città metafisica di Tresigallo, della Consulta per l’integrazione dei cittadini stranieri.

Gli incontri, le visite su luoghi della memoria, gli workshops, i momenti conviviali, la cura dei luoghi, le proiezioni a cui abbiamo assistito, le discussioni fra noi ci hanno visti attivamente impegnati in un confronto con la storia.

Il nostro percorso ci ha permesso di approcciarci alla differenza tra macrostoria e microstoria anche come misura della distanza di noi giovani dalla storia come viene intesa solitamente. La macrostoria, spesso insegnata regolarmente nelle scuole, rischia di risultare per noi giovani un mero elenco di date ed eventi, che dunque non riesce a coinvolgerci pienamente e non ci porta a riflettere sul presente. Il percorso da noi compiuto invece si è svolto anche con un’analisi microstorica, ovvero attraverso la comprensione di eventi accaduti vicinissimo alle nostre città, come le vicende reggiane di casa Cervi e quelle modenesi di Monchio; attraverso racconti, anche personali, di coloro che hanno vissuto esperienze legate alla Seconda guerra mondiale, si sono ripercorsi fisicamente quei luoghi. La testimonianza di chi è stato vittima, o dei suoi familiari, ci ha permesso di eliminare la distanza tra noi e la storia, e ci ha spronato al dovere di fare memoria.

Conoscere la storia serve per capire il presente, per riconoscervi delle corrispondenze con il passato, ma ci siamo domandati come mai le analogie del presente con il passato non aiutino le persone a capire cosa stia succedendo intorno a noi davanti al ripresentarsi di fenomeni di chiusura, razzismo, sopruso, violenza che ci fanno ripensare ai tempi dei fascismi. Non bisogna fermarsi alle analogie, è anche necessario trovare le differenze, le difformità, o si rischia di cristallizzare il nostro “avversario” senza comprenderlo. Al contrario, solo conoscendolo in tutte le sue più remote sfaccettature e la sua evoluzione, si potrà affrontarlo e sconfiggerlo. Nella seconda metà degli anni Venti del Novecento i primi antifascisti persero la lotta contro il fascismo proprio perché non riuscirono a capire che il loro avversario non era più quello “diciannovista” o dello squadrismo.

Quello di concentrarsi non solo sulle corrispondenze, ma anche sulle differenze, è uno spunto interessante che ci è stato suggerito dall’incontro a Montefiorino. Una grande differenza tra l’attualità e il periodo in cui si è instaurato il regime è la presenza dell’Unione Europea, i cui scopi fondamentali sono la promozione della pace, dei valori sociali e del benessere, la lotta alle discriminazioni e la tutela dei diritti umani. Per averci garantito oltre 60 anni di libertà, l’Unione Europea è stata insignita nel 2012 del premio Nobel per la pace. Un’altra differenza degna di nota è che nell’articolo 11 della Costituzione italiana, si afferma che l’Italia ripudia la guerra e questo ha legittimato l’ingresso del nostro paese nell’Onu.

Questa è solo una delle tante considerazioni sorte durante il Campo giovani ed è proprio dalla possibilità di riflettere su questi temi che è nata la nostra volontà di partecipare ad un progetto di questo tipo, per discutere ed affacciarci sul mondo con rinnovata consapevolezza.

2. Salvaguardia

Per poter “ripercorrere” i luoghi è necessario che qualcuno se ne prenda cura, come abbiamo visto che accade al Campo di Fossoli. Ciò dovrebbe essere un dovere civico di ogni cittadino poiché un luogo di memoria che scompare si porta via la sua storia e diventa sempre più difficile immaginarla: tutti dobbiamo salvaguardare ciò che abbiamo e ciò che ci rimane. Noi abbiamo avuto modo, nel nostro piccolo, di agire direttamente in questa direzione insieme ai volontari e storici del Campo di Fossoli, che si prendono costantemente cura del luogo, rendendolo più accessibile ai visitatori.

Fig. 1. Commemorazione dell'eccidio di Cibeno del 12 luglio 1944 al Campo di Fossoli
Fig. 1. Commemorazione dell'eccidio di Cibeno del 12 luglio 1944 al Campo di Fossoli

Sempre in relazione al tema della salvaguardia si è parlato anche del tema controverso della conservazione delle opere d’arte realizzate nel ventennio fascista. La discussione, scaturita dall’incontro con gli ospiti venuti da Tresigallo per incontrarci e presentarci la Città metafisica, ci ha portato a riflettere su un avvenimento storico: durante la rivoluzione francese, molti rivoluzionari volevano distruggere e cancellare le opere simbolo della monarchia. Ci sono stati però artisti che, nonostante fossero rivoluzionari, si batterono per evitare la distruzione delle opere d’arte, in modo tale che le generazioni future si ricordassero del periodo monarchico come qualcosa da cui distanziarsi. Oggi ci troviamo nelle stesse condizioni: è giusto distruggere le opere come le architetture di epoca fascista? Per i motivi citati sopra, no, non è giusto perché esse devono servire come monito per le persone che non hanno vissuto quel periodo.

Fig. 2. Workshop con gli ospiti di Tresigallo
Fig. 2. Workshop con gli ospiti di Tresigallo

Possiamo arricchire il concetto e approfondirlo andando però a distinguere due tipi di utilizzo delle opere appartenenti al regime: ci sono quelle che non hanno l’intento di celebrarlo, come le case popolari, le scuole, la stazione di Milano e quelle autocelebrative, come il bassorilievo presente a Bolzano che rappresenta Mussolini nell’atto del saluto romano e il noto motto «credere, obbedire, combattere».

Le prime vengono tuttora utilizzate come servizi alla cittadinanza; le seconde, invece, rappresentano qualcosa di potenzialmente negativo perché potrebbero risvegliare il sentimento dei nostalgici. Per cercare una possibile soluzione, a Bolzano si è mantenuta l’opera di epoca fascista, ma è stata realizzata un’installazione che proietta una frase luminosa di Hannah Arendt, «nessuno ha il diritto di obbedire» che copre lo slogan mussoliniano, facendo riflettere sulla libertà e sulla coscienza individuale.

3. Forme di resistenza

Alcuni luoghi come Monte Sole e Montefiorino in modo diverso ci hanno messo davanti ad una riflessione sulle responsabilità, quelle dei carnefici e quelle di chi si è opposto. Bisogna cercare di comprendere ciò che ha spinto persone comuni a seguire fascismo e nazismo e a causare quello che è successo senza necessariamente giudicarle, anche perché mentre noi possiamo valutare a posteriori gli eventi passati, quelle persone non avevano un rimando a qualcosa di già accaduto: il nazifascismo era qualcosa di assolutamente nuovo. Da tutto ciò si deduce che il rapporto tra chi è stato vittima e chi è stato carnefice è estremamente delicato.

Fig. 3. Visita al Parco storico di Monte Sole con gli operatori della Scuola di pace
Fig. 3. Visita al Parco storico di Monte Sole con gli operatori della Scuola di pace

Perfino dopo decenni, lo spettro delle emozioni provate dalle nuove generazioni, che si riscoprono vittime o carnefici in quanto eredi di un danno incolmabile o di una colpa imperdonabile, è pieno di sfaccettature. Eppure, nonostante tutto il dolore o la vergogna, alle volte si riesce a superare ciò che è stato fatto per creare qualcosa di nuovo: per esempio attraverso gemellaggi tra paesi da cui sono state deportate persone e paesi “responsabili” di questo orrore. Anche attraverso il dialogo è possibile fare ammenda ed aprire un nuovo capitolo nella vita di certe persone. Dobbiamo metterci nei panni degli altri ed esaminarci. Se qualcuno molto vicino a noi avesse subito violenze, noi saremmo stati immuni a compiere altra violenza? Se fossimo stati indottrinati fin da bambini a seguire una determinata ideologia, saremmo stati capaci di ribellarci?

Un esempio di sensibilizzazione in questo senso lo abbiamo avuto nella visita a Montefiorino, luogo di bande partigiane, dove ci è stato narrato di come la vita dopo la data dell’armistizio sia cambiata per molte persone, in particolar modo la vita dei giovani di allora. Essi dovevano compiere una vera e propria scelta davanti ad un enorme bivio: essere partigiano o restare fascista. Questa scelta poteva anche distruggere grandi e durature amicizie, come abbiamo appreso dalla storia di due giovani amici che la guerra mise inesorabilmente l’uno contro l’altro.

A scegliere allora furono anche le donne: erano madri, sorelle e mogli di quegli uomini che si trovavano a combattere tra le fila partigiane. Erano staffette, combattenti, o semplicemente donne che combattevano contro il regime.

Le città e le strade che percorrevano erano spesso controllate da SS o fascisti repubblicani, e tutto ciò rendeva il loro lavoro ancor più pericoloso. Molte donne, durante la Seconda guerra mondiale, erano impiegate nelle fabbriche dove non mancarono atti di resistenza; molte di loro parteciparono agli scioperi del marzo 1944, con la conseguente deportazione. Durante la visita al Museo di Montefiorino ci è stato introdotto il personaggio di Norma Barbolini, grande figura partigiana. Quando il fratello Giuseppe si ritirò sull’Appennino modenese, Norma decise di seguirlo come staffetta e, non appena Giuseppe fu ferito in uno scontro a fuoco, prese addirittura il suo posto al comando della brigata partigiana ‘Barbolini’. Grazie al suo forte carattere riuscì a tenere testa a più di 40 uomini e a farsi rispettare.

Come lei ce ne furono tante altre, di cui, a volte, non si ricorda neanche il nome. A molte di loro fu addirittura vietato di sfilare per le città dopo la liberazione, solo perché erano, appunto, donne.

Spesso si dimentica che queste sono le stesse donne che hanno aiutato, facendo parte dell’Assemblea costituente, a costruire una nuova Italia, quella in cui noi oggi viviamo.

Solo a poche di loro è stato riconosciuto il grande sacrificio fatto, con medaglie e onorificenze, ed è per questo che spetta a noi ricordarle e celebrarle, perché, come disse Ferruccio Parri (primo presidente del Consiglio dopo la Liberazione): «le donne furono la resistenza dei resistenti».

Fig. 4. Visita al Museo della Repubblica di Montefiorino
Fig. 4. Visita al Museo della Repubblica di Montefiorino

Le donne spesso presero parte alla Resistenza e si opposero alla guerra e al nazifascismo in forme non armate, con azioni pacifiche e di solidarietà, come fecero anche i Giusti tra le nazioni. Abbiamo avuto modo di scoprire indirettamente alcune di queste figure nelle giornate del 15 e del 16 luglio in occasione della visita al Museo Monumento al deportato di Carpi, del workshop con gli operatori di Casa Cervi e Villa Emma e, infine, nel corso della visita a Montefiorino.

Fig. 5. Workshop con gli ospiti di Casa Cervi e Villa Emma
Fig. 5. Workshop con gli ospiti di Casa Cervi e Villa Emma

I Giusti tra le nazioni sono quelle persone non ebree che, durante il periodo della persecuzione nazista, hanno agito per salvare ebrei e in virtù del loro operato sono stati riconosciuti come tali dallo Yad Vashem, il memoriale che ha sede in Israele.

Don Dante Sala e Odoardo Focherini a Carpi, don Arrigo Beccari e Giuseppe Monreali a Nonantola, le famiglie Gianaroli, Succi, Casolari sull’Appenino modenese, tutti sono accomunati dall’aver riflettuto su loro presente storico e di essersi poste implicitamente la domanda: possiamo rimanere indifferenti davanti a ciò che sta accadendo? Il loro “aver preso parte” ed essere divenuti soggetti attivi in un contesto in cui sarebbe risultato enormemente più facile rimanere passivi, rende queste persone dei veri e propri eroi della storia recente.

Per ricevere questo riconoscimento dal popolo ebraico, e si potrebbe dire dal mondo intero, non è importante il numero di vite che si sono messe in salvo; ne “basterebbe” anche soltanto una e, tuttavia, si tratterebbe di un’impresa colossale. La frase tratta dal Talmud che recita «chi salva una vita, salva il mondo intero» e che ispira l’onorificenza in questione, indica proprio ciò: non è una questione di numeri, ma di impegno e di sforzi praticati in un contesto, quello del loro tempo, che li avrebbe certamente puniti nel caso in cui fossero stati scoperti.

Uno dei requisiti per essere insigniti di tale carica è l’assenza totale di tornaconti personali nelle azioni di messa in salvo. Operavano in vista di un bene, non avevano nulla da guadagnare, ma solo da perdere. Molti di essi hanno dovuto attingere alle scarse risorse delle loro famiglie già indigenti, ad altri invece, il proprio operato, è finito col costare la vita, come nel caso di Odoardo Focherini.

È innegabile, quanto naturale, che i Giusti tra le nazioni suscitino in noi una grande ammirazione, ma la semplice stima servirebbe a poco se il tema dei Giusti non fosse anche un’occasione per interrogare dolorosamente noi stessi arrivando a chiederci: ma noi al loro posto, cosa avremmo fatto? E ancora: cosa possiamo fare oggi?

4. Deportazioni

Approfondire il tragico periodo delle deportazioni nazifasciste è stato uno degli obiettivi del Campo giovani. Cercare di comprendere la complessità di quei fatti ci ha portato a constatare come, nell’immaginario collettivo, parlare di deportazione nei campi nazisti significhi far riferimento quasi esclusivamente alla Shoah, ovvero allo sterminio del popolo ebraico. A soli 75 anni di distanza da questi avvenimenti, il rischio di dimenticare tutte le altre “categorie” di deportati è più elevato di quanto sembri. Focalizzarsi sul significato di quei triangoli di stoffa colorata che venivano cuciti sulle divise dei deportati, non vuol dire soltanto soffermarsi sulla crudeltà organizzativa perpetrata dai nazisti, ma significa soprattutto ragionare sulle cause che hanno condannato quelle persone ad essere internate in un Lager.

Fig. 6. Museo Monumento al deportato politico e razziale di Carpi
Fig. 6. Museo Monumento al deportato politico e razziale di Carpi

Il nostro paese, per esempio, ebbe un numero elevato di deportati politici. L’arresto e la deportazione erano il tragico destino di chi, per quanto in suo potere, si opponeva alla dittatura nazifascista e alzava la testa di fronte ad un regime che l’avrebbe invece voluto chino e sottomesso. Antifascisti, partigiani, lavoratori e lavoratrici colpevoli di aver scioperato, ma soprattutto di aver fatto una scelta: schierarsi dalla parte giusta della storia e lottare perché i loro ideali di libertà, giustizia e uguaglianza si affermassero sulla barbarie dei totalitarismi.

Oggi, viviamo in un momento storico in cui il rischio di etichettare le persone per la loro origine, per il loro orientamento sessuale, per la fede religiosa o addirittura per l’aspetto fisico torna ad essere molto forte, se non addirittura un fatto tangibile. La reazione di indignazione rispetto a tutto questo non emerge chiara e netta come dovrebbe; al contrario, quest’onda di odio e discriminazione viene non di rado strumentalizzata politicamente.

Fig. 7. Workshop con la Consulta per l'integrazione dei cittadini stranieri
Fig. 7. Workshop con la Consulta per l'integrazione dei cittadini stranieri

Se davvero vogliamo provare a interpretare il titolo del Campo giovani – Interrogare Fossoli per ripensare il presente – allora dobbiamo compiere lo sforzo di ripensare autenticamente la memoria nel presente, chiedendoci, prima di tutto, se ci stiamo mostrando all’altezza del coraggio che ebbero quelle persone e se ci sentiamo, oggi più che mai, loro eredi.

5. Conclusioni

Abbiamo interpretato il titolo del Campo giovani anche come la volontà di acquisire strumenti funzionali all’antifascismo di oggi. Tra quelli che portiamo a casa, troviamo nel concetto di inclusione uno dei più rilevanti. L’esperienza di Villa Emma, la storia dei fratelli Cervi, le riorganizzazioni sociali e politiche delle valli del Dolo e del Dragone durante la guerra, la rete dei deportati politici trucidati a Fossoli, la Nomadelfia di don Zeno, la Consulta per l’integrazione dei cittadini stranieri, sono tutti esempi in ordine cronologico dell’efficacia dell’inclusione come risposta non solo all’esclusione, ma anche alla prevaricazione, al controllo, allo stato di polizia, alla limitazione delle libertà tipiche del fascismo e di tutti i fascismi. Questi esempi dimostrano soprattutto la grande varietà delle strade che l’inclusione può offrire, tutte ugualmente molto potenti e sempre percorribili, anche nelle situazioni dove la povertà dei mezzi e gli spettri di impotenza e irrilevanza sembrano muri invalicabili. L’invito che abbiamo raccolto non è solo quello di tendere le orecchie per riconoscere i segnali delle “riproposizioni” di caratteristiche fascisteggianti nella vita politica delle nostre realtà grandi e piccole, ma è soprattutto quello di scommettere sull’inclusione: di volgere lo sguardo e la mano verso gli svantaggiati degli spazi e dei tempi che viviamo, attraverso l’associazionismo, l’educazione, l’impegno civico e le scelte quotidiane. Coltivare una costante riflessione “strategica” sulla convivenza civile significa combattere il ritiro, l’isolazionismo, la radicalizzazione, l’indifferenza... serbatoi di incubi che non vorremmo rivivere mai.

Fig. 8. Partecipanti e operatori del Campo giovani 2019
Fig. 8. Partecipanti e operatori del Campo giovani 2019


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